Caso Sallusti e Reato di diffamazione

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fridafrida
00giovedì 27 settembre 2012 20:36
E' di questi giorni la notizia del carcere per Sallusti -14 mesi- per aver nel 2007 diffamato a mezzo stampa un giudice sostenendo che quest'ultimo avesse,nel contrasto tra i genitori,costretto una minorenne all'aborto.
Non mi interessa scendere nel dettaglio della questione-la notizia era palesemente falsa e Sallusti non andrà in carcere,non vi sono recidive,nè cumuli di pena;Piuttosto discorrere del reato di diffamazione e della relativa pena detentiva.

Il busillis concerne la legge, che un plebiscito di consensi definisce "incivile" e pertanto soggetta a necessaria revisione.

Depenalizzare o no il reato di diffamazione?(that is the question).

Intanto,non ci si toglie il vizio di arrivare al limite delle cose prima di occuparsene,per poi relegarle nuovamente nel dimenticatoio.
Di poi,a mio avviso,il reato in questione concerne la tutela di un valore-quello della reputazione-di non poco spessore.Ridurlo ad illecito amministrativo significa disconoscere il peso e l'importanza del bene che si vuole tutelare.
Di conseguenza,ed essendo poco incline ai plebisciti,reputo sbagliata la campagna per l'abolizione del reato di diffamazione.

Intanto In Germania, come in Francia, tradizionalmente la diffamazione è stata considerata un reato, piuttosto che un illecito civile. In base a tale visione tradizionale, l’azione per diffamazione, normalmente, dev’esser promossa davanti ai giudici penali, anche se, di norma, è la vittima a proporla, anziché il Pubblico Ministero. Quest’ultimo propone tale azione solo se ciò è richiesto dal pubblico interesse. In linea generale, il diritto tedesco conferisce al Pubblico Ministero una minima discrezionalità richiedendo che si agisca penalmente ogniqualvolta sussista una ragionevole ragione per ritenere che il convenuto abbia commesso un reato. Questa regola generale è sottoposta ad eccezioni, in presenza di reati di minor gravità, e la diffamazione in Germania è considerata un reato minore. Qualora l’autore [della condotta lesiva] sia giudicato responsabile nel procedimento penale, sarà assoggettato solo ad una sanzione pecuniaria. La pena detentiva è prevista se - e solo se - siano provati danni esistenziali e patrimoniali in sede penale.
Così non si rischia di favorire gli imputati più abbienti,che possano permettersi difese migliori?

Fatto sta che ad oggi in Germania nessuno ha mai ricevuto pena detentiva per reato di diffamazione.
MARTINA.SANNINO83
00giovedì 27 settembre 2012 22:33
Onestamente?!E' una cazzata madornale!!!!Biasimo Sallusti da sempre, non gli darei 2 lire, ma la condanna è giunta, non per la semplice diffamazione, ma perché andava a colpire un potere forte. Se avesse diffamato la sottoscritta, non si sarebbe scatenato questo polverone. Bisogna vedere se manterrà fede al progetto di non richiedere misure alternative alla detenzione. Ne dubito fortemente ma, se scontasse la pena in carcere, sarebbe la prova palese che come Paese facciamo schifo!
napulitanboy
00giovedì 27 settembre 2012 22:50
Re:
MARTINA.SANNINO83, 27/09/2012 22.33:

Onestamente?!E' una cazzata madornale!!!!Biasimo Sallusti da sempre, non gli darei 2 lire, ma la condanna è giunta, non per la semplice diffamazione, ma perché andava a colpire un potere forte. Se avesse diffamato la sottoscritta, non si sarebbe scatenato questo polverone. Bisogna vedere se manterrà fede al progetto di non richiedere misure alternative alla detenzione. Ne dubito fortemente ma, se scontasse la pena in carcere, sarebbe la prova palese che come Paese facciamo schifo!




Non ci va in carcere perché la pena è sospesa, come per legge. Figuriamoci!
Il problema, semmai, è l'assurdità che per una diffamazione, per quanto lesiva di un bene giuridico di alto valore quale è la reputazione intesa come dignità della persona, la pena prevista può arrivare a tre anni ed oltre.

Koogar
00giovedì 27 settembre 2012 23:11
Farina conferma :«Dreyfus sono io »
Mentana su Twitter: «Ormai è tardi, infame»


«Intervengo per un obbligo di coscienza. Se Sallusti conferma la sua intenzione di rendere esecutiva la sentenza accadrà un duplice abominio: sarebbe sancito con il carcere l'esercizio del diritto di opinione e Sallusti finirebbe in prigione per errore giudiziario conclamato. Quel testo a firma Dreyfus l'ho scritto io e me ne assumo la piena responsabilità morale e giuridica». A parlare è il deputato del Pdl Renato Farina, che alla Camera dei deputati conferma le indiscrezioni circolate nei giorni scorsi sull'articolo che ha portato alla condanna del direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti.

http://www.corriere.it/politica/12_settembre_27/sallusti-farina-camera-deputati_d32e362a-087a-11e2-b109-0c446f94a4e2.shtml
MARTINA.SANNINO83
00venerdì 28 settembre 2012 11:11
Non mi piace nemmeno l'epiteto usato da Mentana!
connormaclaud
00venerdì 28 settembre 2012 12:40
Urge una riforma che demolisca dalle fondamenta il sistema giudiziario italino,ormai sordo e arrogante più che mai.
Il caso sallusti è solo l'ultimo di una infinità di obbrobri giudiziari dell'ultimo ventennio.
Tra incompetenza opportunismi personali e "guerre" di potere chi porta "aventi la baracca" è sempre più isolato e impotente.
Queste storture non fanno che alimentare un latente giacobinismo alla matriciana che,oggi, potrebbe incidere su riforme di "giustizia depotenziata".



angel in the sky
00venerdì 28 settembre 2012 14:53
ma avete letto bene di cosa si tratta?
O avete ascoltato una sintesi dal tg5?

fridafrida
00venerdì 28 settembre 2012 20:02
Angel in the sky,personalmente ho aperto il post per leggere pareri altrui.Ergo illuminaci!
angel in the sky
00venerdì 28 settembre 2012 23:27
Re:
fridafrida, 28/09/2012 20.02:

Angel in the sky,personalmente ho aperto il post per leggere pareri altrui.Ergo illuminaci!




fridafrida, 28/09/2012 20.02:

Angel in the sky,personalmente ho aperto il post per leggere pareri altrui.Ergo illuminaci!



hai ragione,scusami, ma il mio post non era riferito al tuo bensì ai posts successivi ad esso.

Il fatto in questione non riguarda la libertà di stampa, è solo un paravento che Sallusti ed altri si sono dati.

L'articolo scritto da Dreyfus, ossia Renato Farina, con l'avallo di Sallusti accusava falsamente il giudice di aver costretto una ragazzina di 13 anni ad abortire ed aggiungeva: "se ci fosse la pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice".

Insomma da un lato si voleva far vivere il bambino, dall'altro ci si augurava la morte dei nonni, del ginecologo e del giudice. Ottimo esempio di cristiano che intende difendere la vita!(NB:Farina è di CL)

In secondo luogo Sallusti sapeva bene che il responsabile fosse un altro, ma si è ben guardato dal riferirlo ai giudici.

D'altro canto anche lo stesso Farina ha parlato solo dopo sentenza definitiva e non durante lo svolgimento dei 3 gradi del processo.

In terzo luogo, se Sallusti avesse pubblicato una rettifica, non ci sarebbe stata la pena dei 14 mesi, ne dà conferma lo stesso giudice-parte lesa: qui

Insomma che ci vuole a rettificare? Ogni giorno ci sono rettifiche sui giornali...

Pertanto il reato di diffamazione ci sta tutto.

Non è un caso di libertà di stampa, nè Sallusti o Farina sono dei martiri in tal senso.
Trattasi di una categoria, quella dei giornalisti, che sta facendo passare Sallusti per una vittima.

Non a caso subito la classe politica parla di modificare il reato in questione.

Se si fosse trattato di un giornalista non di quel livello tutto questo rumore non ci sarebbe stato.

Per quanto concerne il reato di diffamazione bisogna intendersi su come lo si vorrebbe modificare, si vuole dare ai giornalisti la possibilità di diffamare senza conseguenze? O con semplice ammenda? E perchè mai i giornalisti dovrebbero poter fare ciò che un cittadino semplice non può fare?

(pollastro)
00sabato 29 settembre 2012 10:50
Dal professore Prisco e da Pollastro, che condividono entrambi e stavolta scrivono a due teste e quattro mani (praticamente un mostro [SM=x43819])

"Non condivido le tue idee, ma darei la vita per permetterti di sostenerle", insegnava Voltaire. Quindi il problema per noi non sono Sallustri e Farina: non li stimiamo, ma non li censuriamo perché ci sono antipatici. Il problema è la diffamazione. Il giornalismo serio non va intimidito, ma incoraggiato, però l'onore delle persone è un bene giuridico fondamentale, col quale oggi si scherza con troppa facilità e Internet non aiuta: come dimostra anche il caso Carofiglio, si postano con troppa leggerezza messaggi non sorvegliati nella forma e infondati nel merito; un giudizio forte e duro, argomentato, anche se il destinatario non lo condivide e se un lettore ne restasse sconcertato, è sacro, mentre una forma espressiva inutilmente e sgraziatamente maleducata, o l'attribuzione di fatti falsi, o l'insulto puro e semplice, sono semplicemente porcate. La libertà di stampa non c'entra: anch'essa è valore fondante, ma è come la libertà di parola: certo che non va compressa, anzi, ma non c'è bisogno di urlare per esercitarla. Sallustri è un giornalista potente, che è solito invece proprio "drogare" l'informazione. Deve imparare invece anche lui che le parole sono pietre, fanno male, ma vanno dosate. Il caso Boffo (di cui fu protagonista e confezionatore Feltri) è illuminante. Lo si affidi allora non al carcere, ma ai servizi sociali, però mediti finalmente sul fatto che la penna può e deve essere un'arma per svelare e denunciare (poi nel merito chi legge valuterà), tuttavia non per ammazzare moralmente la dignità delle persone. Lo si affidi ai servizi sociali e non alla galera, ma non ne se ne faccia il martire che non è: a suo tempo - tra i giornalisti di destra - Guareschi, condannato per avere diffamato De Gasperi, andò in carcere con ben altra scgiena diritta. Scriveremmo le stesse cose anche se protagonisti dell'episodio fosseri stati un giornalista e una testata di sinistra, del genere del "Fatto Quotidiano" (equivalente del Giornale a sinistra; tra noi due li chiamiamo appunto Il Giornalaccio e Il Fattaccio)), giacché il punto è di principio generale.Troppa superficialità in tutti, troppo poco autocontrollo, troppa poca pratica di sfumature e dubbi, troppa ansia di scoop infondati, che porta a "drogare" il linguaggio e a sparare titoli e bufale non verificate. Occorre tornare ad un naggiore equilibrio e il diritto (penale e civile, coi risarcimenti dei danni, anche solo simbolici) hanno una parte da fare, in questo
connormaclaud
00sabato 29 settembre 2012 13:06
L'informazione necessita di una regolamentazione accurata poichè rappresenta un vero e proprio potere e come tale tende a degenerare laddove non esiste un sistema di checks and balances.
La mania della normativa onnipresente ed onnisciente tocca tutto meno che settori vitali,come l'informazione, che influenzano -più che essere fisiologicamente influenzati-gli organi dello stato e la società civile.
Detto questo,il sig. Sallusti -magari colpevole di mille altri reati...all'intelligenza umana.....ricordiamoci però che non si è colpevoli per antipatia o perchè politicamente schierati (cosa significhi poi in questi anni è ancora tutto da capire)- è colpevole o è solo uno dei tanti "mostri" dell'informazione moderna?
Sallusti rappresenta la regola o l'eccezione?
Com'è possibile che sino ad oggi si è sempre "archiviato" ( e per ampliare il discorso faccio l'esempio del labile confine tra satira e diffamazione) come mai la molla,storicamente troppo tesa, con sallusti si sia improvvisamente ristretta?
Perchè lui si e gli altri no?

Vorrei portare la discussione ad un livello diverso di quello dell'Azzecagarbugli di turno [SM=x43799]

Se Sallusti è reo lo è l'informazione tutta e lo so anche tutti coloro che tramite i media proclamano la presunzione di colpevolezza fino a prova contraria.

All'interno di questo oceano se il caso del Giornale dovesse restare un isolato ci sarebbero molte domande da porsi.
Non ci resta che attendere l'evoluzione di una questione ben più importante del caso particolare.
napulitanboy
00sabato 29 settembre 2012 13:14
L'articolo incriminato di Sallusti
Di Dreyfus (Renato Farina), Libero, 18 febbraio 2007

Il giudice ordina la morte, la legge più forte della vita

Una adolescente di Torino è stata costretta dai genitori a sottomettersi al potere di un ginecologo che, non sappiamo se con una pillola o con qualche attrezzo, le ha estirpato il figlio e l’ha buttato via.

Lei proprio non voleva. Si divincolava. Non sapeva rispondere alle lucide deduzioni di padre e madre sul suo futuro di donna rovinata.
Lei non sentiva ragioni perché più forte era la ragione dei cuore infallibile di una madre.

Una storia comune. Una bambina, se a tredici anni sono ancora bambine, si era innamorata di un quindicenne. Quando ci si innamora, capita: e così qualcosa è accaduto dentro di lei. Lei che era una bambina capiva di aspettare un bambino. Da che mondo è mondo non si è trovata un’ altra formula: non attendeva un embrione o uno zigote, ma una creatura a cui si preparava a mettere i calzini, a darle il seno.

I genitori hanno pensato: «È immatura, si guasterà tutta la vita con un impiccio tra i piedi».
Hanno deciso che il bene della ñglia fosse: aborto. In elettronica si dice: reset. Cancellare. Ripartíre da zero.
Strappare in fretta quel grumo dal ventre della bimba prima che quell’Intruso frignasse, e magari osasse chiamarli, loro tanto giovani, nonna e nonno. Figuriamoci.
Tutta ’sta fatica a portare avanti e indietro la pupa da casa a scuola e ritorno, in macchina con la coda, poi a danza, quindi in piscina. Ora che lei era indipendente, ecco che si sarebbero ritrovati un rompiballe urlante e la figlia con i pannolini per casa.

Il buon senso che circola oggi ha suggerito ai genitori: i figli devono essere liberi, vietato vietare. Dunque, divertitevi, amoreggiate. Noi non eccepiamo. Siamo moderni. Quell’altro che deve nascere però non era nei patti, quello è vietato, vietatissimo. Accettiamo che tutti facciano tutto, ma non che turbino la nostra noia.

Un magistrato allora ha ascoltato le parti in causa e ha applicato il diritto – il diritto! – decretando: aborto coattivo. Salomone non uccise il bimbo, dinanzi a due che se lo contendevano; scelse la vita, ma dev’ essere roba superata, da antico testamento.

Ora la piccola madre (si resta madri anche se il figlio è morto) è ricoverata pazza in un ospedale.
Aveva gridato invano: «Se uccidete mio figlio, mi uccido anch’io».

Hanno pensato che in fondo era sì sincera, ma poi avrebbero prevalso in lei i valori forti delle Maldive e della discoteca del sabato sera, cui l’avevano educata per emanciparla dai tabù retrogradi. Che vanno lavati con un bello shampoo di laicità. Se le fosse rimasto attaccato qualche residuo nocivo di sacralità, niente di male, ci vuole pazienza. E una vacanza caraibica l’avrebbe riconciliata dopo i disturbi sentimentali tipici dell’età evolutiva.

Non è stato così. La ragazzina voleva obbedire a qualcosa scritto nell’anima o – se non ci credete – in quel luogo del petto o del cervello da cui sentiamo venir su il nome del figlio. Ma no: non anima, né petto, né cervello.
Le dava dei calci proprio nella sua pancia che le dava il vomîto.
Una nausea odiosa, ma così rasserenante: più antica dell’effetto serra, qualcosa che sta alla fonte del nostro essere. Si sentiva mamma. Era una mamma.
Niente.
Kaput.
Per ordine di padre, madre, medico e giudice per una volta alleati e concordi. Stato e famiglia uniti nella lotta.

Ci sono ferite che esigerebbero una cura che non c’è. Qui ora esagero. Ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice.

Quattro adulti contro due bambini. Uno assassinato, l’altro (l’altra, in realtà) costretto alla follia.
Si dice: nessuno tocchi Caino, ma Caino al confronto avevale sue ragioni di gelosia. Qui ci si erge a far fuori un piccolino e a straziare una ragazzina in nome della legge e del bene.

Dopo aver messo in mostra meritoriamente questo scempio, il quotidiano torinese la Stampa che fa? Mette pacificamente in lizza due pareri. Sei per il Milan o l’Inter? Preferisci la carne o il pesce?

Non si riesce a credere che ci possano essere due partiti. Sì, perché in fondo la vera notizia è questa, e cioè che ci sia un’opinione ritenuta rispettabile e che accetti la violenza più empia che esista: il costringere una madre a veder uccidere il figlioletto davanti ai suoi occhi.
Non c’è neanche bisogno del cristianesimo. Basta l’Eneide di Vlrgjlio, la saggezza classica. L’orrore è quando i greci assassinano davanti agli occhi di Priamo il figlio.

Invece qui già ci sono`due partiti. Quello pro e quello contro. È incredibile. Come se fosse possibile fare un bel dibattito sul genocidio: uno si esprime a favore, il secondo è perplesso. Ma che bella civiltà, piena di dubbi.
Come scriveva Giovanni Testori, più battiti e meno dibattiti. Specie quando il battito di un innocente è stato soffocato con l’alibi della libertà e della felicità di una che non sa che farsene, se il prezzo è l’aborto.

Questo racconto tenebroso è specchio dei poteri che ci dominano. Lasciamo perdere i genitori, che riescono ormai a pesare solo come ingranaggi inerti.
Ma che la medicina e la magistratura siano complici ci lascia sgomenti. Però a pensarci non è una cosa nuova.
Nicola Adelfi propose, sempre sulla Stampa, l’aborto coattivo, in grado di eliminare i fastidiosi problemi dicoscienza, perle donne di Seveso rimaste incinta al tempo della diossina (2 agosto 1976).

Abbiamo udito qualcosa di simile aproposito di lager nazisti e di gulag comunisti. Ma che questo sia avvenuto in Italia e che abbia menti pronte a giustificarlo è orribile.
Adri84
00sabato 29 settembre 2012 14:02
L'articolo è un'aberrazione,è disgustoso
Ma io resto combattuta sulla questione della responsabilità di chi l'articolo non l'ha scritto
(pollastro)
00sabato 29 settembre 2012 15:30
Dal professore Prisco e da pollastro, ancora concordi

No, caro Connormaclaud, non concordiamo del tutto. Le regole esistono per chi non si sa regolare. Ci vogliono, certo, ma resta il fatto che c'è chi , conoscendole, le infrange e chi le applica. E le conosce nel senso di averle introiettate, non perché le subisce come vincolo dall'esterno. Non è vero che l'informazione è tutta uguale, come non è per l'università, l'avvocatura, la giurisdizione, la medicina, ecc... Dovunque ci sono professionisti e ciarlatani. I primi lavorano conoscendo come proprio limite interno le regole (in altri termini "si regolano da soli", la deontologia professionale è parte della loro sostanza professionale), ai secondi le regole vanno invece ricordate e imposte, nonché si deve sanzionare chi non le rispetta: ripeto, c'è in merito una chiara giurisprudenza ricavabile da storiche sentenze della Cassazione. Anche la satira è dunque ammidssibile, ci mancherebbe; ma - per fare un esempio - ridere su e perché uno è handicappato è solo infame. Una persona perbene semplicemente non lo fa. Forse a volte questo non è un reato (altre volte invece sì), ma almeno (se lo fa), questo deve suscitare diprezzo e isolamento morale da parte delle persone che non lo fanno. E la stampa DEVE essere libera; se uno incorre incolpevolmente e in buona fede in un infortunio - ad esempio per supeficialità nel controllo delle fonti - può essere scusato; se però la usa sistematicamente per falsificare i fatti e per calunniare (prescindo da casi singoli, parlo in generale e in linea di principio) ci sono - giustamente - il codice penale e la sospensione, al limite la radiazione: Farina, ad esempio, cioè l'autore dell'articolo su cui Sallusti omise il dovuto controllo, è una provata spia e un propalatore abituale di falsi, un avvelenatore di pozzi; che l'odine dei giornalisti lo abbia radiato (per un diverso episodio) è conseguenza del suo NON essere stato in concreto un giornalista, ma dell'usare il suo mestiere per altri fini. Smettiamola di considerare tutti uguali: non è così
connormaclaud
00sabato 29 settembre 2012 16:40
Gentili prof. Prisco e pollastro,
credo,dal basso della mia ignoranza giuridica, che la regolamentazione sia necessaria perchè con l'informazione si fuoriesce dalla galassia delle libertà individuali-con annessi e connessi- e si entra in un universo che non può essere lasciato alla deontologia professianale di categoria o al buon senso dell'individuo data la peculiarità del settore.
Se la triade legislativo-esecutivo-giudiziario subisce continuamente pressioni da parte dell'informazione (basti pensare alla superiore capacità di suggestione/influenza del santoro di turno rispetto a questo o quel politico o ai processi mediatici paralleli...con tanto di giudici e consulenti) e questa è in grado di veicolare la stessa società civile,si può ancora parlare di semplice categoria o sarebbe il caso di qualificarlo per quello è? Un potere a tutti gli effetti.
Certo s'abbisogna di una normativa che non trasformi l'informazione in organo ausiliario dello stato,ma non è più il caso di lasciarla a briglia sciolta.
Non dimentichiamoci che siamo il paese che un giorno piange Falcone e Borsellino e l'altro osanna i figli -revisionisti-dei pentiti.
Una informazione a capocchiam è sia una causa che effetto di questo male.

In seconda battuta parafrasando il Muratori "il diritto nella sua applicazione pratica dipende inevitabilmente dalla testa dei giudici": vero che esiste il codice penale,ma è vero anche che sino ad oggi casi simili sono stati trattati in maniera diversa e l'orientamento generale proponeva una interpretazione maggiormente flessibile sotto l'ombrello della libertà di stampa.
Ho letto l'articolo postato poco prima e ,in tutta onestà,non ci trovo nulla di scabroso (sarà che c'ho fatto il callo),ma usuale dialettica mediatica.
Se dovessi aprire un qualsiasi giornale o rivista,de facto, troverei certamente articoli con gli stessi toni e lo stesso cattivo gusto.
L'informazione non sarà tutta uguale,ma molto simile se si escludono poche mosche bianche.
(pollastro)
00sabato 29 settembre 2012 17:09
Dal professore Prisco e da Pollastro

Nessuno di noi due nega i mali che denunci e la necessità di riforme normative di settore. Volevamo dire però che (a parte norme di legge) occorre - ed è prevista - anche la deontologia professionale, in materia. La migliore regola legislativa del mondo è elubibile, se non supportata dalla specifica "moralità professionale", alla quale del resto ogni legge di settore rinvia per disciplinare integrativamente ciascuna diversa attività professionale.
L'articolo è basato su una circostanza falsa, come è stato accertato da una sentenza coperta in giudicato: non era stato imposto alla bambina di abortire, il giudice non le aveva imposto la propria volontà (secondo la legge, infatti, non può farlo). La bambina era un soggetto in condizione difficile, che non parlava in famiglia, non aveva con essa rapporti.
Può benissimo condannarsi l'aborto di una minore (qui poi proprio una ragazzina) ed eventualmente criticare un istituto legislativo, ma (per farlo) non può dirsi il falso. Chi lo fa (e non pensiamo che lo facciano tutti) sbaglia dolosamente. Ecco il punto. Se si dice che tutti sbagliano, allora nessuno è davvero responsabile. I responsabili qui ci sono: un giornalista che ha raccontato una balla, un direttore che ha omesso di sorvegliare, come di suo obbligo. Poi si puà discutere se il carcere per il direttore sia opportuno, in un caso del genere, ma è altra storia
Paperino!
00sabato 29 settembre 2012 17:40
Re:
Adri84, 29/09/2012 14.02:

L'articolo è un'aberrazione,è disgustoso
Ma io resto combattuta sulla questione della responsabilità di chi l'articolo non l'ha scritto




Non l'ha scritto ma l'ha pubblicato. Non vedo la differenza.
Il direttore del giornale è responsabile per quello che pubblica, al pari di chi scrive.
Poi, dopo averlo pubblicato, ha nascosto il reale autore dell'articolo.
Dulcis in fundo, non ha mai consentito la rettifica, che pure avrebbe "lavato" le infamie che gratuitamente lui e il suo compare avevano lanciato falsamente sul giudice, al solo scopo di screditarlo.
Ed adesso, dobbiamo anche sorbirci le menate sul fatto che è una vittima e la libertà di stampa non può essere imbavagliata?

Ma andasse in miniera, a lavorare onestamente.
--letizia22--
00sabato 29 settembre 2012 17:52
Re: Re:
Paperino!, 29/09/2012 17.40:




Non l'ha scritto ma l'ha pubblicato. Non vedo la differenza.
Il direttore del giornale è responsabile per quello che pubblica, al pari di chi scrive.
Poi, dopo averlo pubblicato, ha nascosto il reale autore dell'articolo.
Dulcis in fundo, non ha mai consentito la rettifica, che pure avrebbe "lavato" le infamie che gratuitamente lui e il suo compare avevano lanciato falsamente sul giudice, al solo scopo di screditarlo.
Ed adesso, dobbiamo anche sorbirci le menate sul fatto che è una vittima e la libertà di stampa non può essere imbavagliata?

Ma andasse in miniera, a lavorare onestamente.




infatti, altrimenti la figura del direttore non ha poi tanto senso!
fridafrida
00sabato 29 settembre 2012 20:24
Professore Prisco e Pollastro,per comunanza di vedute,aggiungo la mia alle due teste del mostro.Per ora siamo un Cerbero,si sa mai che si possa tendere all'Idra.
connormaclaud
00sabato 29 settembre 2012 20:46
Re:
(pollastro), 29/09/2012 17.09:

Dal professore Prisco e da Pollastro

Nessuno di noi due nega i mali che denunci e la necessità di riforme normative di settore. Volevamo dire però che (a parte norme di legge) occorre - ed è prevista - anche la deontologia professionale, in materia. La migliore regola legislativa del mondo è elubibile, se non supportata dalla specifica "moralità professionale", alla quale del resto ogni legge di settore rinvia per disciplinare integrativamente ciascuna diversa attività professionale.
L'articolo è basato su una circostanza falsa, come è stato accertato da una sentenza coperta in giudicato: non era stato imposto alla bambina di abortire, il giudice non le aveva imposto la propria volontà (secondo la legge, infatti, non può farlo). La bambina era un soggetto in condizione difficile, che non parlava in famiglia, non aveva con essa rapporti.
Può benissimo condannarsi l'aborto di una minore (qui poi proprio una ragazzina) ed eventualmente criticare un istituto legislativo, ma (per farlo) non può dirsi il falso. Chi lo fa (e non pensiamo che lo facciano tutti) sbaglia dolosamente. Ecco il punto. Se si dice che tutti sbagliano, allora nessuno è davvero responsabile. I responsabili qui ci sono: un giornalista che ha raccontato una balla, un direttore che ha omesso di sorvegliare, come di suo obbligo. Poi si puà discutere se il carcere per il direttore sia opportuno, in un caso del genere, ma è altra storia




Certamente prof. Prisco e pollastro,ma la deontologia professionale si trasforma spesso,nei fatti,in una farsa.
Qualsiasi categoria tenderà potenzialmente a "coprire" gli errori e le malefatte del proprio "simile"; i vaccini contro stronzaggine e ipocrisia ancora devono essere scoperti.
Non sono un penalista e neppure un avvocato, ma da profano due domande mi sorgono spontanee:
- se l'articolo è quello postato pochi interventi addietro sussiste la fattispecie di reato quando l'unico indizio è " una ragazza di torino"? Altri riferimenti non sono presenti e come sia riconoscibile o almento astrattamente riconoscibile il giudice tutelare in questione rimane un mistero.
- ho sentito -ergo,col beneficio del dubbio- che lo stesso caso era stato proposto dal quotidiano la stampa un giorno prima di libero e che la stessa querela -curiosamente postuma- per la testata non abbia avuto seguito.Digitando "ragazza minorenne torino aborto" è possibile trovare diversi articoli-datati 2007- di testate diverse che ripropongono il caso,ma di querele neppure l'ombra. Il buonsenso non dovrebbe suggerire che sia stata rispettata l' ordinaria diligenza nell'acquisizione di dati di conoscenza del caso?



Condivido in linea di principio sul secondo punto e mi domando se sussistono possibilità di ritrovarsi tra le mani una seconda patata bollente come quella del caso Rioli.
OneOfTheesedays
00domenica 30 settembre 2012 16:29
Caro Connormacclaud, la notizia inizialmente anche da altri giornali era stata riportata in maniera scorretta, come spessio avviene quando i giornalisti riportano vicende giudiziarie. Ma nessuno aveva usato quella violenza e quella offensività ed inoltre quasi tutti avevano aggiustato il tiro, chiarendo - come era vero- che non c'era stato alcun "obbligo" ad abortire (impossibile per legge, tra l'altro).
Ti allego un articolo del corriere sul punto: www.corriere.it/cronache/12_settembre_26/sallusti-ricostruzione_b26408ac-080c-11e2-9bec-802f4a9253...
Il giornale è stato l'unico che non ha mai rettificato. Peraltro ti sfugge forse che la diffamazione è un reato per cui si procede su querela di parte e non d'ufficio; ed infatti lo stesso Sallusti ha riferito che era stato proposto un accordo (che prevedeva la rimessione della querela e il solo risarcimento del danno) dalla difesa di controparte che lui ha in maniera sdegnata e presuntuosa rifiutato. Si vede che forse il ruolo della "vittima" in questa faccenda gli fa molto comodo.
Inoltre relativamente ai tuoi dubbi di "parzialità", ti rispondo con uno mio, forse analogo: quale comune cittadino processato per un caso tanto palese di diffamazione avrebbe avuto tanta solidarietà ed attenzione da parte di media, parlamento, guardasigilli e presidente della repubblica? Addirittura si parla di mettere in discussione una norma quasi banale come la diffamazione a mezzo stampa (che io ritengo un limite minimo alla libertà di parola, in un paese civile, e niente affatto un reato di opinione come certa stampa solidale a prescindere vuole far credere).
Fossi in Sallusti e nel suo compare Farina mi vergognerei pure di piagnucolare tanto, visto che nel mondo in paesi come la Cina si finisce davvero per passare un guaio se si esprime liberamente la propria opinione sul "potere".
Concluderei ricordando, come ha già fatto pollastro a due teste, che l'autore materiale dell'invettiva, il signor Farina, è bel tipo che all'epoca dei fatti era stato già sospeso all'ordine dei giornalisti, tant'è che si è dovuto firmare sotto pseudonimo.
Giusto per dire che, come ricordava Paperino, andassero veramente a spaccare le pietre in miniera, che il giornalismo non sanno neanche dove è di casa.
Il sacro fuoco dell'indignazione non lo spreco per questi soggetti e per polemiche costruite ad arte come questa.

connormaclaud
00domenica 30 settembre 2012 18:32
Caro one,la notizia è stata riproposta da più di una testata e su Libero è stata presentata a distanza di 24h dalla prima de La stampa.
Nessuno ha usato toni offensivi dici? Ti invito a ricercare in rete gli articoli ancora presenti e ti accorgerai che poco era cambiato nella forma e nella sostanza,casomai il sallusti aveva preso come spunto la vicenda -per inciso io continuo a non trovare riferimenti che possano ipotizzare il reato contestato (diciamo che sto facendo l'avvocato del diavolo anche se poco m'interessa la vicenda particolare)- per proporre un articolo anti-aborto.
La legge non prevede l'obbligo d'abortire, ma in questo caso sarebbe il caso,perdona il gioco di parole, di fare un passo indietro e rileggere l'articolo. In questo non è presente nessuno attacco all'atto formale del giudice tutelare in questione,bensì al momento precedente:quando la giovane ed i genetori hanno manifestato la propria volontà davanti al giudice ( NB stiamo ipotizzando che la vicenda sia reale).

So che la diffamazione non è reato d'ufficio (in questo caso sarebbe il caso di parlare più correttamente di omesso controllo...date le circostanze è inquadrabile in questa fattispecie?),ci mancherebbe,eppure mi preme notare come due querele (la prima a Libero e la seconda,a distanza di giorni, a La stampa) abbiano avuto evoluzioni profondamente diverse.
Restando in tema "gossip" mi risulta che in primo grado si sia arrivati ad una pena pecuniaria (come consuetudine) salvo poi,una volta depositate le motivazioni, aver fatto un passo indietro.

Che Sallusti ci marci o meno sulla vicenda è di relativa importanza,non sarebbe stato ipocrita e sbagliato accettare questo ipotetico "accordo" quando ci si considera innocenti? La giustizia del compromesso è ancora giustizia?
I dubbi di parzialità vengono confermati dalla mobilitazione generale delle istituzioni e della politica -anche quella che in altre circostanze ha affossato il presunto reo-.
Se fosse capitato ad un cittadino comune non ci sarebbe stata visibilità e con ogni probabilità ignoranza sull'accaduto da parte dei più,ma questo non sposta di un centrimetro la questione.
Volendo essere malfidenti punterei sullo scontro tra poteri e una piccola vendetta nella "guerra per le intercettazioni",ma siamo nell'ambito della fantapolitica.
Si parla poi di adeguarsi con il resto d'europa riguardo alla materia- a strasburgo è stato fatto il cul. all'italia sul caso Rioli-, la depenalizzazione non sarebbe poi tanto scandalosa in presenza di assenza di interpretazione evolutiva.

Il paragone con la cina è poco felice,permettimi, e del passato del signor Farina come dell'onore del giornalismo poco c'interessa dato che sono decenni che i giornalisti veri latitano o qualora ancora presenti sono una razza a rischio d'estinzione.

Personalmente non m'indigno per il caso Sallusti,ma la vicenda non fa altro che confermarmi che le anomalie del sistema italiano siano troppe e troppo evidenti.
Jo@ne
00lunedì 1 ottobre 2012 12:29
Re: Re:
Paperino!, 29/09/2012 17.40:



sono perfettamente daccordo, basta con questi falsi vittimismi [SM=x43800] l'onore e' un bene troppo prezioso e prima di intaccarlo bisogna essere certi al 101% delle proprie fonti.




Non l'ha scritto ma l'ha pubblicato. Non vedo la differenza.
Il direttore del giornale è responsabile per quello che pubblica, al pari di chi scrive.
Poi, dopo averlo pubblicato, ha nascosto il reale autore dell'articolo.
Dulcis in fundo, non ha mai consentito la rettifica, che pure avrebbe "lavato" le infamie che gratuitamente lui e il suo compare avevano lanciato falsamente sul giudice, al solo scopo di screditarlo.
Ed adesso, dobbiamo anche sorbirci le menate sul fatto che è una vittima e la libertà di stampa non può essere imbavagliata?

Ma andasse in miniera, a lavorare onestamente.




.pisicchio.
00venerdì 5 ottobre 2012 20:08



da legalcommunity.it





Abbiamo voluto affrontare il caso del direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti sentendo un penalista e un giornalista. Di seguito il pezzo di Luca Basilio, partner, responsabile del dipartimento di penale dello studio Simmons & Simmons a cui segue la pubblicazione/replica di Francesco Specchia di Libero.

Salvate il soldato Sallusti: tra diritto dell’informazione ed informazione sul diritto

Confesso che Alessandro Sallusti mi sta antipatico. Ho opinioni diverse da lui politicamente, culturalmente, professionalmente e tutti gli altri “mente” a cui possiate pensare. Quindi questo mio commento è, per così dire, “al di sotto” di ogni sospetto. Ma la vicenda della sua condanna e di come i media l’hanno riportata mi ha dato profondamente fastidio. Come avvocato, prima ancora che come cittadino.

La storia è ormai nota, ma non fa male ripercorrerla. Nel 2007 una ragazzina di tredici anni che ha avuto un’infanzia difficile, e che continua ad avere un’adolescenza difficile, rimane incinta. Lei vuole abortire e la madre è d’accordo (o la madre la convince ad abortire, ma ai nostri fini non cambia), ma il padre no (o lei e la madre non vogliono coinvolgerlo, che ai nostri fini continua a non cambiare), e quindi si rivolge al giudice tutelare. Una simile richiesta al giudice tutelare è questione assolutamente normale e fisiologica, prevista dalla legge proprio per situazioni come queste. Il giudice autorizza figlia e madre a fare la scelta che ritengono più opportuna, senza il consenso del padre. In seguito, vuoi per motivi pregressi ed indipendenti, vuoi per lo shock dell’aborto, la ragazzina viene ricoverata per esaurimento nervoso.

Non ho un ricordo in proposito, ma sembra che molti giornali abbiano pubblicato la notizia (in modo più o meno accurato, ma ai nostri fini è sempre indifferente). Libero e Sallusti fanno altro. Che sia motivato da volontà di polemica verso la magistratura o da intenti anti-abortisti poco importa: Libero ci fa almeno un’intera pagina, tra cui un “commento” firmato da tal Dreyfus, che si scoprirà poi essere il signor Renato Farina, ora parlamentare PdL e prima giornalista radiato dall’Albo perché spiava per i Servizi Segreti. Quel “commento” contiene una serie di informazioni false, di fatti falsi, che stravolgono completamente una storia già di per sé molto triste e delicata.

Il magistrato che ha concesso l’autorizzazione come giudice tutelare querela e Sallusti viene condannato a quattordici mesi di carcere per diffamazione a mezzo stampa (artt. 595 c.p. e 13 L. 47/1948 – reato che, come ha precisato l’Ufficio Stampa della Corte di Cassazione, è punito con la reclusione sino a sei anni, oltre alla multa).

Sallusti, ora direttore de Il Giornale, a pochi giorni dalla decisione definitiva lancia il “caso” sulla sua personale vicenda. E si scatena su tutta o quasi la stampa italiana l’operazione “salvate il soldato Sallusti”: non è possibile che si vada in galera per un reato d’opinione, non è possibile che un direttore di giornale vada in galera per un articolo scritto da un altro giornalista, ovvero che sia condannato per responsabilità oggettiva, eccetera eccetera.

Ora, sono molti i motivi del mio fastidio. Primo fra tutti la mia antipatia per Sallusti. Il secondo per un certo non so che di “difesa della casta” che l’intervento di molti giornalisti sembra aver avuto (ma detto da un esponente di un’altra casta, quella degli avvocati, rende onestamente questo fastidio un po’ ridicolo). Quello che più mi ha dato fastidio non è stata nemmeno la scorretta informazione sul tema giuridico. Che è stata grave e quindi merita di essere approfondita.

Innanzitutto, Sallusti non è stato condannato per un “reato d’opinione” che, nel nostro ordinamento, fortunatamente non esiste. A parte il fatto che non è sempre lecito esprimere una qualsiasi opinione – in materia di diffamazione la Cassazione ha posto limiti ben precisi in proposito, stabilendo ad esempio che è comunque reato esprimere un’opinione con l’utilizzo di termini «pretestuosamente denigratori e sovrabbondanti rispetto al fine della cronaca del fatto e della sua critica» (così Cass. 19381/2005 – la cosiddetta “continenza”); e ci mancherebbe altro: in caso contrario verrebbe meno ogni limite di civiltà dei rapporti umani che non può mancare anche nel caso di esercizio del diritto d’opinione o di critica –, nel caso Sallusti/Dreyfus siamo in presenza di un articolo che contiene affermazioni del tutto false sui fatti, come per esempio quella secondo cui il giudice avrebbe ordinato l’aborto a fronte di una ragazzina che non l’avrebbe voluto. Qui, non c’è opinione che tenga: se pubblichi un fatto falso, sei un diffamatore. Come cittadino, prima ancora che come avvocato, chiedo che i media – quali intermediari tra me e le informazioni – identifichino le notizie, le verifichino e me le propongano con sufficiente obiettività da consentirmi di farmi la mia di opinione. Se i giornalisti falsificano le notizie, come cittadino, mi rendono un cattivo servizio; e, come avvocato, commettono un reato.

In secondo luogo, non è vero che Sallusti sia stato condannato per “fatto altrui”. A prescindere dal fatto che si sia consentito di pubblicare ad un tizio che non poteva più fare il giornalista perché radiato dall’Ordine professionale (come se io facessi lavorare un ex collega avvocato, radiato perché spifferava ad una controparte informazioni sui suoi clienti), do per scontato che in una qualsiasi organizzazione il “capo” decida la politica d’impresa: quindi, pur non sapendo come funziona esattamente una redazione di giornale, do per scontato che il direttore di un quotidiano decida la politica editoriale e quindi, nel caso della ragazzina, do per scontato che Sallusti abbia deciso – con i suoi redattori e con Dreyfus – il taglio da dare agli articoli che sarebbero stati pubblicati sul quotidiano di cui lui era direttore responsabile. Se le cose stanno così, in applicazione dei normali principi di diritto penale, non è che Sallusti “non poteva non sapere”, ma doveva sapere ed ha consapevolmente chiuso gli occhi sul contenuto dell’articolo, oppure sapeva ed ha accettato che fosse pubblicato un articolo con notizie false. Questa è una “sua” responsabilità, non quella di un terzo. D’altro canto, ai sensi dell’art. 57 c.p., il direttore responsabile di un quotidiano ha una propria ed autonoma responsabilità per omesso controllo di quanto viene pubblicato: se con la pubblicazione viene commesso un reato, il direttore responsabile è colpevole per fatto proprio, non diversamente da qualsiasi altra “posizione di garanzia” che l’ordinamento riconosce. Ed infine, ricordo che è principio assolutamente costante in giurisprudenza che un articolo pubblicato anonimo o con pseudonimo è riferibile al direttore responsabile, sempre che l’autore dell’articolo non venga identificato. Sappiamo, per le sue stesse dichiarazioni, che Sallusti era perfettamente a conoscenza di chi fosse Dreyfus e che aveva deciso di non rivelarlo. Decisione “altrui” anche questa?

In terzo luogo, indipendentemente dal fatto che a Sallusti non sia stata concessa la sospensione condizionale della pena, non è vero che da una semplice multa si sia arrivati inspiegabilmente alla galera. Da quanto capisco dal comunicato della Corte di Cassazione, il Tribunale aveva condannato alla sola pena pecuniaria per un reato che prevede invece una pena congiunta, reclusione e multa, la Corte d’Appello aveva corretto l’errore ed alla Cassazione non è rimasto che prenderne atto. Stupisce francamente che i giornalisti non conoscano le pene per il rischio penale più tipico della loro professione.

In quarto luogo, quanto alla “pesantezza” della pena inflitta a Sallusti, oppure al fatto che rischi il carcere, si tratta di valutazioni un po’ speciose. Da un lato, infatti, si tratta pur sempre di reato che prevede una pena massima di sei anni e l’essere stato condannato ad un anno e due mesi non mi sembra che implichi un particolare disfavore nei suoi confronti. Da un altro lato, il fatto che un giornalista rischi davvero di andare in carcere in uno stato in cui in galera non ci va nessuno, mi sembra che “provi troppo”: il problema dell’effettività della pena nel nostro paese è troppo noto da essere discusso qui, ma non capisco perché, se è prevista dalla legge una pena detentiva per un reato “professionale” del giornalista, questi non debba scontarla. Altro discorso se una simile pena sia “giusta” o no: ma questo è un problema politico, che deve essere affrontato in Parlamento (magari non sull’onda emozionale del caso singolo: la legislazione “emergenziale” nel settore penale, sia essa in positivo o in negativo, ha già fatto troppi danni per ripetere l’esperienza).

Insomma, da avvocato mi ha dato estremo fastidio il fatto che l’intera vicenda sia stata riportata sui media in modo tecnicamente impreciso, se non proprio scorretto: è troppo chiedere ai giornalisti di fare una corretta informazione (anche) quando si parla di giustizia penale? So bene che il lavoro del giornalista è difficile, ma è cruciale nell’orientare l’opinione pubblica e quindi non può prescindere dall’accuratezza dell’informazione. Siccome un’informazione non accurata nelle vicende penali mi colpisce come piccolo “operatore del diritto” e la pago in termini di credibilità nei confronti della clientela (anche professionale: credete davvero che un qualsiasi CEO sappia e capisca davvero di diritto penale?), vorrei che la stampa mi aiutasse fornendo notizie che poi io non sia costretto a spiegare o addirittura a smentire.

Ma no, non è nemmeno questo che mi ha dato veramente fastidio.

Quello che più mi ha dato fastidio è che il capitano Miller dovrà pur dire al soldato Sallusti «mèritatelo»; e che io non ci vedo Sallusti, sulla tomba di Miller ed alla fine della sua carriera, dire alla Daniela Santanché: «dimmi che me lo sono meritato, dimmi che sono un uomo buono».

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