Berlusconi vuol spiegare in tv agli italiani la sua “persecuzione” giudiziaria

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gran generale
00martedì 31 agosto 2010 10:33
Berlusconi ha paura di un autunno caldo. Non con i sindacati, ma con i magistrati. La Lega gli ha detto che c'è un piano per farlo fuori. Lui ha risposto che il piano lo conosce già, che è in atto da sedici anni e che per questo sta pensando di andare in televisione e spiegare agli italiani come stanno le cose. Lo scenario che lo preoccupa è noto: senza uno scudo giudiziario ulteriore, se la Consulta a dicembre boccerà le norme sul legittimo impedimento, il capo del governo sarà «nudo» di fronte ai processi che lo riguardano, primo fra tutti quello sul caso Mills, la cui sentenza potrebbe arrivare in primavera.

Il cosiddetto processo breve, già approvato in Senato, servirebbe come soluzione, forse definitiva. Ma potrebbe essere una toppa peggiore del buco: il Colle potrebbe rimandare la legge alle Camere, il tempo risparmiato per non fare delle modifiche verrebbe perso per rivotare le norme e rimandarle al Quirinale. Senza escludere un intervento successivo della Corte costituzionale. Ce n'è abbastanza per provocare qualche preoccupazione superiore alla media anche a uno che da anni è abituato alla più drammatica guerra politica con le toghe. Per questo da alcuni giorni il presidente del Consiglio ha rispolverato una sua vecchia idea, elaborata altre volte e mai messa in pratica: «Andrò in tv a spiegare la mia odissea giudiziaria, perché gli italiani sappiano che non farò la fine di Craxi», racconta. Già due anni e mezzo fa, mentre si riposava ai Caraibi, ad Antigua, gli ultimi mesi all'opposizione, meditava di fare un discorso in Parlamento sulla giustizia italiana, ovviamente politicizzata, scandalosamente corporativa, eccessivamente sottratta a qualsiasi controllo disciplinare, un caso nel mondo occidentale, un caso di cui lui sarebbe un esempio pratico e lampante, oltre che una vittima. Poi, complice l'accelerazione della crisi prodiana, vi rinunciò. Oggi sembra tornato alla carica: ha anche chiesto alla Farnesina di rispolverare l'idea di mandare ai 26 Paesi dell'Unione europea una lettera sullo stato dell'ordinamento giudiziario italiano. Anche questo un progetto vissuto qualche settimana, prima dell'estate, e poi riposto nel cassetto, perché giudicato controproducente.

La televisione e la lettera (una prima versione è già stata scritta) non è detto che si realizzino: per ora vivono nella testa del Cavaliere, nei suoi sfoghi di fine agosto, una chiacchierata in tribuna allo stadio Meazza, un'altra nelle terrazze della sua villa sul lago Maggiore, a Lesa. Ovviamente c'è anche chi lavora perché tutto questo non accada, perché la lettera non sia mai spedita alle altre Capitali del vecchio Continente, perché non ci sia bisogno di appellarsi agli italiani sulla giustizia. È al momento ancora in embrione, ma sembra che sia già partita l'ennesima trattativa sotterranea fra l'avvocato del capo del governo, Nicolò Ghedini, e quello vicino al presidente della Camera, Giulia Bongiorno, per cercare una soluzione tecnica alternativa al processo breve. «C'è un tentativo in corso di andare oltre», racconta un berlusconiano del primo giro, appena un filo di voce al telefono. Il tentativo sarebbe quello di lavorare sulle norme del Codice penale che regolano la prescrizione; si arriverebbe in questo modo a uno «scudo» giudiziario, per il premier, che non coinvolgerebbe migliaia di processi in corso, come nel caso delle norme sul processo breve. Sicuramente però si esporrebbe il Cavaliere ad un'altra campagna fondata sul varo di una norma ad personam.

Si vedrà: la notizia è che, riservatamente, si sta cercando una soluzione alternativa a quella che sino a poche ore fa sembrava l'unica soluzione. Berlusconi ovviamente lascia fare: l'importante per lui è che venga risolto il problema della governabilità, che chi è stato eletto dalla maggioranza degli italiani possa completare la legislatura senza doversi difendere da processi che ritiene totalmente politicizzati e giuridicamente inconsistenti. Anche alla luce di questo lavorio due sere fa si diceva ottimista sulla possibilità di trovare un patto di fine legislatura con Gianfranco Fini, ovviamente a condizione che il gruppo di Futuro e Libertà scompaia, che i deputati e i senatori rientrino nel Pdl, che le cose da fare, il programma in cinque punti che verrà presentato in Parlamento fra qualche giorno venga votato senza distinguo. Bisognerà vedere, da qui ad allora, se un punto di questa verifica, quello sulla giustizia e sul processo breve, sarà stato modificato. E se il Cavaliere avrà o meno sciolto la riserva sul progetto di spiegare agli italiani, in prima persona, in televisione, «quello che i magistrati mi hanno fatto in sedici anni di politica».
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