"Noio volevam savuar" l'italiano parlato dai napoletani

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giovi.
00lunedì 24 gennaio 2011 14:32
'Noio volevam savuar'
l'italiano parlato dai napoletani
Il dialetto in uno studio di Cristina Vallini, docente di linguistica all'Orientale. "Scendimi quel libro". "Bussa il campanello" e le altre storpiature della lingua."Gravi e frequenti gli spostamenti dell'accento: così Cavoùr diventa Càvour"
di ADELE BRUNETTI

"Scendimi quel libro", "bussa il campanello", "una tazza di cioccolatta calda", "mantieni le lenzuola!", "in uno scatolo", "pura ofanità", "vieni, a mamma". L'italiano secondo Napoli, i meridionalismi che si insinuano tra le frasi, subdoli servi del parlato quotidiano che stravolgono inesorabilmente regole e termini della lingua ufficiale del Paese. Storpiature che, alle pendici del Vesuvio, suonano talmente familiari da passare inosservate. Ma se a prestare ascolto è un orecchio raffinato, l'approccio partenopeo all'idioma nazionale smaschera leggerezze e imperdonabili sviste.
Come scovare i tanti scheletri nell'armadio linguistico dei napoletani? Risponde Cristina Vallini, docente di Linguistica all'università L'Orientale, pisana di nascita e, soprattutto, trapiantata in città da oltre quarant'anni. "In primis, evitiamo di bollare le imprecisioni come errori, troppo scolastico" sottolinea la Vallini, "è preferibile parlare di tipicità che caratterizzano il bagaglio di espressioni locali, spesso liquidate come italiane, persino tra le fasce sociali colte". Dal dizionario arriva il cartellino rosso per parole abusate come "scatolo", un unicum tutto partenopeo che semplicemente non esiste. La variante giusta è "scatola" e al maschile è previsto "scatolone". Mai dire "zucchine", "è un'invenzione. Ammessi esclusivamente "zucchino" e "zucchini". Fuori dalla cucina, la formula "passi e pinoli" "è tanto diffusa quanto impropria. I "passi" lasciamoli al cammino, da sostituire con "uva passa" o "uvetta".

"Cioccolatto, cioccolatta, cioccolatte"? Sbagliati! Esatti, invece, "cioccolato" e "cioccolata". Defaillance presumibilmente etimologica, "per l'influenza di "latte". Attenzione ai repentini cambi di genere, "l'asciugamano", rigorosamente maschile, a Napoli diventa "le asciugamani", forse sul peso del femminile "mani". Addio al verbo "mantenere" alla partenopea, "qui è utilizzato come "sorreggere", ma in italiano significa "sostentare" o "far fede ad una promessa", mai "tenere". Sbagliato adoperare "cacciare" per intendere "mettere fuori" "perché inesistente". Oppure "stipare" per "mettere da parte": in italiano è "ammassare". "E "fidarsi" nel senso di "sentirsela" o "essere capace": "Non mi fido di uscire" o "cosa si è fidato di fare". Oltre i confini campani restano assurdità.

E ancora "bussare" che sta per "colpire con le nocche", scelto dai napoletani al posto di "suonare" e reso addirittura transitivo: "Bussare il citofono". La collezione di figuracce giunge impietosa proprio sui verbi intransitivi convertiti erroneamente in transitivi. "Lunga è la lista, da "scendere" e "salire", con frasi del tipo "salimi quella coperta" (l'alternativa valida è "portami su") a "telefonare". Non si contano le sgrammaticature come "telefonalo" per dire "telefonagli", motivate da un'interpretazione confusa del corretto "telefonami", "mi" dativo scambiato per complemento oggetto e appioppato alle altre persone". Tra le ragioni per arrossire in pubblico, "rimanere" al transitivo è quasi consuetudine: "Ti rimango le chiavi dal portiere", ma è appropriato "lasciare". E "regalare" in espressioni da bandire come "l'ho regalato" per rendere "gli ho dato una mancia". Pericolose le "papere" da menù: "Spaghetti a vongole", "succo a pera", "cornetto a crema". "Quella "a" - chiarisce la Vallini - in italiano sta per "a forma di" ma in città sono convinti che vada bene, è necessario usare "succo alla pera" o "spaghetti alle vongole", da "à la", un francesismo che a Napoli non ha trovato accoglienza". Della Spagna, al contrario, custodiamo svariati prestiti. ""Chiama a papà" o "guarda a Francesca", l'accusativo alla spagnola, ma da noi dovrebbe essere "chiama papà" e "guarda Francesca".

E l'aggettivo "ofano", "vivissimo, prerogativa dell'upper class napoletana: in italiano non è assolutamente contemplato". Per le pronunzie c'è da arrossire. "Indoppo" per "intoppo", ad esempio, deriva dal dialetto che sonorizza la dentale sorda "t" nella sonora "d", in prossimità della sonora "n". E l'inverso, colpevole il cosiddetto "ipercorrettismo", sbagliare per eccesso di zelo: "Andare" muta in "antare" e "vendere" in "ventere". Nell'incertezza, sopraggiunge la confusione. Perplessità psicologiche che condizionano la pronunzia di vocaboli stranieri, "spostamenti dell'accento, ritratto in "Díxan" e "Cávour" quando dovrebbe cadere sull'ultima sillaba, e posticipato in "yogúrt". Ferrea volontà di inciampare nell'errore? "No, inclinazione a marcare le espressioni eccentriche". Meridionalismi spiccati, il ricorso al "voi", "il pronome di rispetto è il "lei", punto!" e le costruzioni affettuose: "Non lo fare, a mamma", sorta di vocativo misterioso, come se il nome della mamma si trasferisse al bambino... Ovviamente è scorretto, come "è venuta mamma". In Toscana storcerebbero il naso perché si dice "è venuta la mamma".

La RepubblicaNapoli.it


Questo articolo è interessantissimo.
Io ad esempio, ammetto la mia ignoranza, pensavo si dicesse "zucchine" ed ora scopro che non è così... [SM=x43639]
maximilian1983
00lunedì 24 gennaio 2011 15:49
Con tutto il rispetto per la professoressa Vallini, non mi sento di condividere (Devoto Oli alla mano) la sua posizione sul verbo "cacciare", che può avere il significato che da lei è escluso.

Aggiungo un altro caso di errore diffusissimo tra i napoletani è "mìgnon", riferito alla pasticceria, invece di "mignòn".
AREOPAGO VESUVIANO
00lunedì 24 gennaio 2011 20:57
Sto qua' classico l'ha dimenticato la prof!!
Napapiiri
00lunedì 24 gennaio 2011 22:23
mi brillano gli occhi con questo articolo!cmq la vallini ha un paio di palle non indifferenti,negli annali U.N.O dovrebbe esserci la pubblicazione integrale. Interessante!
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