«Biagi? L'avrei torturato»

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kispera
00lunedì 8 maggio 2006 14:25
Nadia Lioce e gli altri terroristi si scrivono.
Testi che, per gli inquirenti, dimostrano che l’organizzazione è ancora in attività.
Per i suoi avvocati è gravemente malata, e i medici del carcere romano di Rebibbia dicono che è affetta da una seria forma di psicosi. Quelli della prigione precedente hanno definito le sue condizioni incompatibili con il regime «duro» di detenzione imposto dall’articolo 41 bis. Ma per chi continua a indagare sulle nuove Brigate rosse, Diana Blefari Melazzi continua a essere una pericolosa militante dell’organizzazione che ha ucciso Massimo D’Antona e Marco Biagi. Lo deducono anche dalle lettere che la donna ha scritto e ricevuto dai suoi compagni; ex o meno è difficile da stabilire, poiché dalle missive sequestrate nelle celle dalla Digos di Roma s’intuisce una rottura tra l’ultima neo-brigatista finita in cella (fu catturata a dicembre 2003, dopo essere scampata al blitz di ottobre) e militanti a tempo pieno come Nadia Lioce e Roberto Morandi.
Lei però continua a rivendicare la propria «associazione» alle Br.
In una lettera a Nadia Lioce del 31 luglio scorso, la Blefari ribatte alle critiche e scrive: «Sono da anni e ancora oggi una militante rivoluzionaria associata all’O. (l’organizzazione, ndr ), che si è guadagnata un ergastolo non certo per soddisfare propri "bisogni" individuali ma per dare un contributo rivoluzionario partecipando all’azione Biagi, agli espropri e al complesso dell’attività dell’O. con un elevato livello di internità e responsabilizzazione».
Secondo gli investigatori è la confessione dell’omicidio del docente bolognese assassinato il 19 marzo 2002, per cui la donna è stata condannata in primo grado. Confermata dal passaggio contenuto nella minuta di una lettera inviata al brigatista Marco Mezzasalma: «A mia sorella ho urlato che, fosse stato per me, Biagi l’avrei torturato prima di giustiziarlo, ed è proprio così, per quello che ha fatto al proletariato». Questa frase non è stata copiata nella versione spedita, dov’è rimasto un altro passaggio: «L’avere la responsabilità personale delle azioni che le Br-pcc hanno prodotto, di tutte quelle che mi hanno imputato e pure di altre che non mi hanno imputato, mi riempie di fierezza... Le rivendicherò sempre».

Nonostante queste affermazioni, dalla corrispondenza emerge che la Blefari è stata messa sotto accusa da Nadia Lioce, considerata il capo delle nuove Br, a causa del suo comportamento «in prigionia e processuale». Le scrive la Lioce il 25 luglio 2005: «La tua condotta è stata fin dall’inizio politicamente illegittima, e lo sai... E se hai avuto il beneficio della critica è in virtù del senso di responsabilità che abbiamo verso chi è sguarnito di sufficienti strumenti politici, e dello stato fisicamente e mentalmente debilitato e poco equilibrato in cui ti abbiamo trovato...».

Il riferimento è probabilmente alla difesa tecnica svolta in aula dai difensori della Blefari nei processi dove Lioce e Morandi avevano revocato gli avvocati di fiducia e «diffidato» quelli d’ufficio. Risposta della Blefari: «Il "beneficio della critica" te lo puoi tenere! Sono io che rivendico il mio diritto di veto e di critica!... Ho la sola e unica intenzione di farvi alzare la testa dai libri e dai giornali, e farvi confrontare con lo scontro reale!». Il 12 agosto c’è la replica della Lioce: «Vedi Diana, è legittimo che tu abbia mille dubbi. Quel che non è legittimo è che tu non agisca con i militanti dell’O. prigionieri, e che addirittura pretendi che la tua condotta e le tue valutazioni siano argomento di confronto... ».

Nello stesso periodo - quando a detta di difensori e medici la donna ha dato i maggiori segni di squilibrio, anche distruggendo la tv della cella - Diana Blefari riceve una lettera di Paolo Broccatelli, anche lui sottoposto al 41 bis, condannato per banda armata ma assolto dall’omicidio D’Antona grazie alla difesa messa in campo dal suo avvocato. Broccatelli ammette il proprio passo indietro: «Entrato in prigionia come rivoluzionario, sono arretrato nella posizione politica e, mantenendo una difesa, ho legittimato istituzioni e stato borghesi al punto che, oggettivamente, tale arretramento si configura come resa politica... Ma dall’essere una persona che s’è arresa a essere un nemico di classe e un controrivoluzionario ce ne corre».

Per i magistrati che depositeranno queste lettere al processo d’appello contro le nuove Br in corso a Roma, gli scritti dei brigatisti dimostrano che l’organizzazione è ancora in attività, anche dal carcere. Michele Mazzei, brigatista della generazione precedente, condannato per la rivendicazione del delitto D’Antona, scrive alla Lioce che la nuova pena «era inevitabile», e aggiunge: «Non a caso Ionta (uno dei pm, ndr ) ha valorizzato nelle sue dichiarazioni post-sentenza "la conferma del ruolo svolto dal carcerario"».

Nella corrispondenza tra brigatisti «vecchi» e «nuovi» il caso di Diana Blefari resta argomento di discussione. Dal carcere di Latina la br anni Ottanta Maria Cappello scrive alla Lioce il 24 febbraio scorso: «Se per lo meno stesse con noi riusciremmo a entrarci in relazione... Fuori da questo non vedo come possa mai risolversi questa drammatica situazione». E Roberto Morandi ne parla nella lettera a un «compagno» fuori dal carcere: «A Diana può fare bene ricevere lettere di solidarietà, però non stava tanto bene psicologicamente, cioè la soluzione del suo caso è delicata».
leverkuhn83
00martedì 9 maggio 2006 09:55

che imbecille...
come se il responsabile della degenrazione fosse biagi..


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