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Generata da: Referendum

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2011 20:49
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31/05/2011 21:14
 
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Dopo la tornata elettorale amministrativa, lo scontro si sposta sul terreno dei referendum. In questo caso si tratta di sfide culturali più che di sfide politiche.
Prima di entrare nel vivo del dibattito prossimo venturo, sono convinto che è necessario fare una premessa: il referendum è uno strumento che non funziona, perché ritengo non ci sia interesse ad una corretta partecipazione popolare. A tal proposito segnalo questo articolo di noisefromamerika.org (di Morelli)



Ecco l'articolo:



In Italia si parla molto spesso di riforme, e il sistema elettorale è una delle cose più discusse. Dal punto di vista di riforme effettive e di una reale comprensione dei pro e contro delle varie proposte, siamo tuttavia fermi a dieci anni fa.

C'è però una proposta di riforma molto più circoscritta, una proposta di cambiamento delle regole referendarie, che può essere facilmente compresa da tutti e che può essere fatta in maniera disgiunta e indipendente da qualsiasi altra riforma del sistema elettorale. Si tratta di modificare la regola di validità dei referendum, che in Italia è notoriamente basata sul soddisfacimento di un quorum partecipativo del 50 percento.

Si è scritto molto, in Italia e all'estero, sull'anomalia italiana di politici e partiti al governo, o altri gruppi di interesse, che chiedono ai loro sostenitori di non votare nel referendum, talvolta scegliendo date particolarmente scomode per i cittadini o scorporando di proposito la consultazione referendaria dale altre consultazioni elettorali. Da Craxi che consigliava ai cittadini di andare al mare, fino ai tentativi correnti di disincentivare il voto del prossimo 12 giugno, gli esempi di questo fenomeno sono ormai innumerevoli.

L'anomalia italiana dei referendum uccisi dal quorum è dovuta alla forma abbastanza assurda del particolare tipo di quorum scelto dal nostro legislatore. L'anomalia sarebbe automaticamente eliminata se l'Italia adottasse le regole di voto referendarie della Germania. In un recente articolo teorico, Francois Maniquet ed io abbiamo dimostrato l'esistenza di una chiara necessità di riforma.

Il sistema italiano richiede che almeno il cinquanta percento degli aventi diritto al voto vadano a votare affinché il referendum sia valido; una volta accertato il requisito di validità, le norme sottoposte a referendum vengono abrogate se la maggioranza dei votanti si esprime a favore dell’abrogazione.

In Germania la regola di validità di un referendum abrogativo è che almeno il 25 percento degli aventi diritto al voto si esprimano a favore dell’abrogazione, mentre rimane comunque vero che, una volta accertata questa condizione, il numero di “si'” deve comunque essere più alto del numero di "no" per ottenere l'abrogazione della norma.

La difesa classica della regola italiana basata sull'importanza della partecipazione di massa, si dimostra essere una difesa irrazionale: infatti la partecipazione è in realtà disincentivata solo nel nostro sistema, e quindi tipicamente più alta nei paesi che adottano la regola di approvazione alla tedesca.

Per esempio, se il 45 percento della popolazione è a favore dell’abrogazione di una norma e ci sono invece venti o trenta percento di contrari e il resto indifferenti, nel sistema tedesco la partecipazione attesa sarà sicuramente sopra il cinquanta percento, perché i contrari all’abrogazione non guadagnano nulla dall’astenersi. Al contrario, nel sistema italiano questo è esattamente il tipo di situazione in cui i partiti dalla parte dei contrari consigliano agli elettori di non votare per far sì che il risultato sia poi un inutile voto quasi unanime da parte dei soli favorevoli, che non bastano a soddisfare il quorum.

Nel nostro articolo dimostriamo che il sistema tedesco di "quorum approvativo" evita che coloro che sono contrari all'abrogazione di una norma possano preferire l'astensione rispetto alla possibilità di votare no. Questo implica che l'alternativa vincente sia sempre quella desiderata dalla maggioranza dei cittadini, mentre nel nostro sistema attuale può succedere che lo status quo prevalga nonostante la maggioranza dei cittadini interessati al voto sia a favore del cambiamento o abrogazione di una norma, e può persino succedere che passi l’abrogazione di una norma che invece godrebbe del supporto della maggioranza dei cittadini. Paradossalmente il quorum approvativo alla tedesca ottiene anche la massima partecipazione, che è l'obiettivo dichiarato ma strategicamente disatteso delle regole vigenti.

L’articolo dimostra che la superiorità del quorum approvativo al nostro quorum partecipativo non dipende neppure dalle caratteristiche della questione su cui si vota: sia che la questione oggetto di referendum inerisca prevalentemente a preferenze o valori individuali – come può essere un referendum sul divorzio o sull’aborto - sia che invece la questione coinvolga la comprensione tecnica di fenomeni non ovvi – come può essere nel caso del nucleare o delle conseguenze di una privatizzazione - rimane vero che il quorum approvativo induce gli individui e i leader ad una sincera partecipazione, facendo davvero funzionare il voto democratico nel modo più giusto, ottenendo l’aggregazione delle vere preferenze e dell’informazione dispersa.

La mia speranza è che su questo tema possa esserci una sensibilizzazione dell'opinione pubblica, poi seguita da una fase propositiva di riforma concreta. Al contrario di altre proposte di riforma di altri elementi del sistema elettorale, questa proposta è estremamente semplice e sostenuta da risultati scientifici chiarissimi.

Credo che l'unico ostacolo all'ottenimento del consenso su questa riforma sia la volontà dei parlamentari di minimizzare le possibilità per i cittadini di esprimere coscientemente le proprie opinioni tramite la democrazia diretta, possibilità che costituisce una potenziale minaccia al loro potere. In un paese dove la partitocrazia è già così forte e dove i parlamentari rappresentano i partiti anziché i cittadini, credo si debba almeno insistere su riforme semplici che evitino distorsioni e inefficienze anche nella democrazia diretta.

Dobbiamo trovare la forza e i canali per insistere che questa riforma sia fatta. La questione non riguarda l'opportunità di cambiare gli incentivi a votare nel referendum alle porte, ma riguarda invece tutte le nostre possibilità future di usare i referendum in modo giusto e non distorto, sia quando i referendum saranno richiesti per l'abrogazione di norme scelte da governi di destra sia quando le parti saranno invertite.
[Modificato da giusperito 31/05/2011 21:15]
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01/06/2011 18:29
 
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[SM=x43601] [SM=x43601] [SM=x43601]

Lo sostengo da una vita: il quorum italiano, così come è concepito, è una autentica truffa alla democrazia, sottraendo un potere fondamentale al popolo e consentendo a politici illiberali e indegni di invitare i cittadini a non andare a votare, invito che rappresenterebbe una vergogna per chiunque faccia il politico ed abbia anche - nel contempo - una coscienza civica. (Binomio alquanto raro, in verità).

Il quorum partecipativo al 25%, alla tedesca, sarebbe come restituire il potere al popolo. Cosa che, ovviamente, alla nostra politica fa paura.
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01/06/2011 18:45
 
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Ragionevolissimo ed auspicabile
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02/06/2011 00:46
 
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[SM=x43799]

(è vero, è una vecchia battaglia del papero [SM=x43812] )





([SM=x43808])

Usa la funzione "Cerca"! [SM=x43666] La Funzione "Cerca" è il miglior amico del forumista! Non abbandoniamola...[SM=g2725338]
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02/06/2011 01:37
 
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Io su questo sono intransigente, difendo il nostro quorum, lo trovo una delle poche cose sagge della nostra democrazia. Se una legge per essere approvata deve avere il voto della maggioranza parlamentare espressione della maggioranza del corpo elettorale, allora per abrogare la stessa legge deve esserci il consenso della maggioranza del corpo elettorale stesso. Altrimenti finiamo in un gioco perverso in cui la minoranza che perso le elezioni può sabotare sistematicamente le decisioni della maggioranza portando alla paralisi il sistema. Con il livello di partigianeria della nostra politica, sarebbe il colpo di grazia alla nostra già malandata democrazia. Questa storia del quorum è poi una truffa a cui i talebani del referendarismo si sono attaccati per giustificare i loro fallimenti. Quando i referendum hanno toccato temi importanti e sentiti dai cittadini il quorum non è mai mancato. Su aborto, divorzio, preferenza unica, responsabilità civile dei magistrati, scala mobile, andò a votare il 90% degli italiani. L'abuso dello strumento referendario, ormai in mano ad una macchina che produce quesiti ogni anno in automatico su qualsiasi argomento, ha determinato la disaffezione per questo strumento che doveva essere eccezionale in una repubblica che nonostante tutto era ed è ancora parlamentare.
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03/06/2011 22:54
 
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Si tratterebbe di depurare il quorum di validità dai trucchi, che sono quelli di chi punta aull'astensione, così capitalizzando a suo favore la quota di astenuti irriducibili e fisiologici. La proposta di Barbera e Morrone, qualche anno fa, era di calcolare il quorum in rapporto alla percentuale di votanti delle elezioni politiche precedenti (comprese schede nulle e bianche, ma non astenuti; non astenuti dal voto, insomma, ma astenuti nel voto, al più). Così si partirebbe in pari, tra fautori del sì e del no. Osservo che grosso modo il quorum ha incominciato a non essere raggiunto da quando si sono molto sviluppati i social nerworks, quasi che questi strumenti "esaurissero" la partecipazione popolare extrarappresentativa. Vero è, però, che - quando un tema interessa - il quorum viene raggiunto e superato perfino quando di esso non c'è bisogno (referendum confermativo della seconda parte della Carta Costituzionale) e che, certo, troppi referendum (come troppa moneta circolante) inflazionano l'interesse dell'elettore e lo confondono. I referendum funzionano in realtà se intercettano grandi opzioni simboliche, perciò credo che in questo caso potrebbero passare, almeno circa il quorum di validità, anche per il particolare momento politico
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06/06/2011 20:00
 
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trixam, 02/06/2011 01.37:

Io su questo sono intransigente, difendo il nostro quorum, lo trovo una delle poche cose sagge della nostra democrazia. Se una legge per essere approvata deve avere il voto della maggioranza parlamentare espressione della maggioranza del corpo elettorale, allora per abrogare la stessa legge deve esserci il consenso della maggioranza del corpo elettorale stesso. Altrimenti finiamo in un gioco perverso in cui la minoranza che perso le elezioni può sabotare sistematicamente le decisioni della maggioranza portando alla paralisi il sistema. Con il livello di partigianeria della nostra politica, sarebbe il colpo di grazia alla nostra già malandata democrazia. Questa storia del quorum è poi una truffa a cui i talebani del referendarismo si sono attaccati per giustificare i loro fallimenti. Quando i referendum hanno toccato temi importanti e sentiti dai cittadini il quorum non è mai mancato. Su aborto, divorzio, preferenza unica, responsabilità civile dei magistrati, scala mobile, andò a votare il 90% degli italiani. L'abuso dello strumento referendario, ormai in mano ad una macchina che produce quesiti ogni anno in automatico su qualsiasi argomento, ha determinato la disaffezione per questo strumento che doveva essere eccezionale in una repubblica che nonostante tutto era ed è ancora parlamentare.



Il tuo discorso è valido, ma bisogna anche valutare che l'astensione non è inquadrabile in un'unica spiegazione causale. Se la gente non vota, non necessariamente è favorevole allo status quo, ma potrebbe essere disinteressata o più semplicemente indifferente.
Non si tratta di eliminare completamente il quorum, ma di evitare che qualcuno inviti ad andare al mare con troppa faciloneria senza tenere il doveroso comportamento di creare un contraltare ed un effettivo bilanciamento al potere del palazzo. L'errore fondamentale è che il costituente ha lasciato alla legge ordinaria il compito di dettare la disciplina del referendum e ci si è trovati di fronte ad un controsenso: i rappresentanti senza vincolo di mandato che disciplinano un istituto di democrazia diretta.
Il quorum è una barriera d'accesso ed in quanto tale dovrebbe essere il più possibile limitata anche per migliorare il livello generale di consapevolezza, perché è assurdo che si lucri sul disinteresse ed il disamore per la politica.
Per me è impensabile lucrare in questo modo su questioni come la legge elettorale che per me è un elemento fondamentale e di rango costituzionale
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07/06/2011 16:34
 
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Re:
giusperito, 06/06/2011 20.00:



Il tuo discorso è valido, ma bisogna anche valutare che l'astensione non è inquadrabile in un'unica spiegazione causale. Se la gente non vota, non necessariamente è favorevole allo status quo, ma potrebbe essere disinteressata o più semplicemente indifferente.
Non si tratta di eliminare completamente il quorum, ma di evitare che qualcuno inviti ad andare al mare con troppa faciloneria senza tenere il doveroso comportamento di creare un contraltare ed un effettivo bilanciamento al potere del palazzo. L'errore fondamentale è che il costituente ha lasciato alla legge ordinaria il compito di dettare la disciplina del referendum e ci si è trovati di fronte ad un controsenso: i rappresentanti senza vincolo di mandato che disciplinano un istituto di democrazia diretta.
Il quorum è una barriera d'accesso ed in quanto tale dovrebbe essere il più possibile limitata anche per migliorare il livello generale di consapevolezza, perché è assurdo che si lucri sul disinteresse ed il disamore per la politica.
Per me è impensabile lucrare in questo modo su questioni come la legge elettorale che per me è un elemento fondamentale e di rango costituzionale




Il discorso di lucrare sul disinteresse lo capisco davvero poco e per certi versi potrebbe anche essere rigirato al contrario, cioè la piccola minoranza referendaria che abbattendo il quorum vuole lucrare sull'indifferenza per imporre la propria dittatura illuminata. Io poi tutto questo scandalo sui partiti che invitano a non votare lo trovo peloso, come se i partiti in Italia, la cui credibilità è talmente bassa da far emergere personaggi come de magistris, fossero i proprietari dei voti e potessero davvero incidere sulle vere scelte degli elettori.
Giusto il fatto che l'astensione può essere motivata da molti fattori, ma se la gente non è contenta dello status quo e non vota significa che giudica l'alternativa referendaria non adatta, dunque vorrei capire secondo quale criterio razionale quella soluzione dovrebbe essere imposta coattivamente alla maggioranza tramite l'abbattimento del quorum.
È vero che il quorum fu concepito in una logica di un sistema politico molto diverso in cui esistevano i partiti di massa che oggi non ci sono più ecc.
Ma alcune cose non sono cambiate tanto, alle ultime elezioni politiche ha votato l'80% degli aventi diritto; se non ricordo male, vado a mente, nelle fatidiche elezioni del 1948 votò il 92 %.
Quindi tolta una percentuale di astenuti cronici che si situa attorno all'8-10%, negli ultimi venti anni si è sviluppato un ulteriore 10% di astensione motivata spesso e volentieri da ragioni politiche molto serie. Comunque siamo il paese con la più alta affluenza dell'occidente. In gran bretagna per dire, dove la democrazia nel suo complesso funziona meglio, l'astensione è al 40% alle politiche. Più o meno negli altri paesi siamo al 30% di media, tranne il caso americano dove l'astensione è al 50% di media.

La proposta di modellare il quorum sulla maggioranza ottenuta dalla coalizione vincente alle politiche potrei accettarla, anche se questo non cambierebbe moltissimo dato che il quorum sarebbe al 46% mentre negli ultimi referendum si è faticato ad arrivare al 25% con l'eccezione di quello sulla costituzione del 2006 dove per altro il quorum non serviva.
Però bisognerebbe agire anche dall'altro lato: aumentare il numero di firme richieste, passando almeno da cinquecentomila ad un milione; prevedere anche misure tipo il deposito di una cauzione da parte del comitato promotore o la possibilità di ammende economiche nel caso in cui il quorum non riuscisse ad essere raggiunto, in modo da scoraggiare il ricorso al referendum facile.
Non ho fatto i conti, ma credo che tutti i referendum falliti negli ultimi venti anni siano costati ai contribuenti qualche miliardo di euro, e non diciamo che sarebbero misure discriminatorie. Tra i tipi di referendum possibili, i costituenti scelsero di ammettere solo quello abrogativo che è il più limitativo di tutti, ponendo dei limiti ulteriori pesantissimi, tipo il divieto di proporre referendum sui trattati internazionali che ci impedisce ad esempio di votare sulla nostra partecipazione all'Unione Europea come invece hanno fatto altri paesi, referendum su cui credo il quorum si raggiungerebbe subito e ci sarebbero maggioranze bulgare antieuropee.
Lo scelsero perché lo consideravano un strumento eccezionale, i referendari hanno voluto invece trasformarlo in uno strumento di legislazione concorrente per via indiretta.
Quindi il problema non è se il referendum funziona o no, ma l'architettura istituzionale della nostra repubblica. Ho l'impressione che ormai anche per i difensori più accaniti della costituzione l'idea della repubblica parlamentare sia inaccettabile.

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07/06/2011 21:07
 
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Mah...io per i referendum penso alla pluriformità della Svizzera e a quelli locali statunintensi. Sistemi diversi, certo, ma un po' li invidio, su questo punto. Dove non li invidio è sulla forma di governo e il sistema elettorale: se promuovi qui un sondaggio, sbarro le caselle "cancellierato" e "proporzionale corretta", insomma il sistema della Repubblica Federale tedesca. Senza che però abbiamo
la loro testa e serietà, ahimé... [SM=x43606]
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07/06/2011 22:56
 
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Io voto per:
- premierato;
- maggioritario uninominale a turno secco, con primarie obbligatorie per legge gestite dai prefetti con le registrazioni preventive e tutte le regole che ne garantiscano la serietà;
- sfiducia costruttiva;
- abolizione del bicameralismo perfetto, con istituzione del senato delle autonomie;
- accorciamento delle legislature a 4 anni, con una norma transitoria che le faccia durare due anni nel periodo di passaggio all'eventuale nuovo sistema;
- nuove disposizioni che rafforzino i poteri di controllo del parlamento evitandogli le umiliazioni di questi ultimi venti anni, tipo il divieto di approvare con voto di fiducia la finanziaria;
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08/06/2011 11:26
 
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Re: Re:
Dissento sulla connotazione implicita che dai dell'astensionismo.
Chi si astiene è indifferente tanto allo status quo che al cambiamento. Si potrebbe dire che la sua posizione è assolutamente neutra. Di conseguenza sarebbe normale usare un metro in grado di valutare nella sua reale portata tale posizione. Altrimenti dovremmo sempre sommare ai no anche le astensioni.

Il tuo discorso sulla minoranza che impone le sue scelte alla maggioranza è condivisibile solo in parte. La maggioranza se è tale dovrebbe manifestare la sua essenza "dittatoriale" e lo strumento referendario è perfetto.
Al momento l'unica minoranza che è in grado di imporre le sue decisioni è l' elite che ci governa, la vera minoranza illuminata. Nell'attuale sistema italiano i veri illuminati autoreferenziali portatori della verità sono i politici che godono di un sistema assolutamente assurdo. Mi sembra che il referendum sia ben più "parlamentare" di quella pseudo camera delle corporazioni che ci ritroviamo. Non si tratta di mettere in discussione il divieto di vincolo di mandato o la democrazia indiretta, ma si tratta di non accettare un sistema completamente distorto dove la Costituzione è violata da decenni (per non parlare dell'inutilità della Costituzione soprattutto quando viene disattesa attraverso norme cogenti, v. sistema elettorale).
Se ci sono illuminati, quindi, sono la minoranza parlamentare e soprattutto governativa che opera scelte particolari e non politiche, in quanto non esistono strumenti concreti di resistenza. Se Tocqueville parlava di democrazia come possibile dittatura della maggioranza, in Italia abbiamo la democrazia come dittatura di una minoranza organizzata (appunto l'elite di Pareto). Tu che sei un estimatore di Hayek dovresti renderti conto di come il termine democrazia parlamentare e di rappresentanza indiretta abbiano senso solo nel campo delle idee. Diversamente si pretende di ritenere comunque esatte le scelte dei rappresentanti, rendendo definitivamente il popolo il somaro (o bue come piace a te) incapace di valutare. Anche perché rischiamo di sostenere che il popolo sia bue a targhe alterne, cioè hanno torto i "sinistri" quando bastonano il popolo bue che vota Berlusconi, ma poi hanno ragione i valorosi scienziati che perorano le cause della scienza certa sul nucleare, ma epistemologicamente incerta per non prendersi il compito di smentire Popper, Russell o Wittengstein.
Inoltre il Costituente ha posto tali istituti affinché funzionassero, benché siano eccezionali. Al momento lo strumento referendario non funziona. Inutile sottolineare che l'esempio del referendum costituzionale è errato. Il 56% si spiega proprio per l'assenza di quorum. E' ovvio che se il quorum non c'è TUTTI gli interessati sono costretti ad attivarsi per manifestare la propria idea senza poter lucrare l'indifferenza. Ritengo, quindi, che questo esempio convalidi proprio la mia posizione.


Sui costi del referendum mi sembra che il problema sia mal posto. Il sistema italiano è orientato allo spreco del denaro pubblico. Qualsiasi cauzione sarebbe irrisoria rispetto ai costi (parliamo di 300 milioni di euro). Se proprio la classe politica volesse evitare gli sprechi, potrebbe prevedere che i referendum coincidano con le tornate elettorali amministrative ed europee, risolvendo al contempo il problema del quorum.


Mi viene da pensare un'altra cosa. Quando parli di dispersione della conoscenza devi per forza riferirti anche alla politica. Significa, quindi, che, nel caso di referendum, l'elettorato non è in grado di sapere se è meglio il sistema elettorale pre o post 93 oppure il nostro sistema. Dato che si tratta di scelte fondamentali e che devono essere purtroppo mediati dalla democrazia diretta ogni volta in cui i rappresentanti creino strumenti elettorali completamente autoreferenziali come il nostro, mi sembra ovvio che favorire la riflessione e superare l'indifferenza sia un obiettivo necessario per una partecipazione consapevole non a tutte le scelte (sarebbe infatti impossibile), ma a quelle che stabiliscono le regole del gioco (appunto le scelte che permettono l'esistenza di scelte realmente politiche).
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08/06/2011 19:22
 
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Mah, mi sembra che tu stesso hai detto sopra che chi si astiene non necessariamente condivide lo status quo, io ho detto che sono d'accordo ma che

logicamente se si astiene e non condivide lo status quo significa che ritiene lo strumento referendario inadatto ad incidere concretamente sui problemi.
Faccio un paio di esempi che sono lapalissiani. Al referendum sulla responsabilità civile dei magistrati ci fu una valanga di voti a favore, e poi il

parlamento ha varato una legge per aggirare il risultato del referendum come tutti sappiamo. Idem con patate per i finanziamenti pubblici ai partiti dove i

referendum sono stati ben due con maggioranze più che plebiscitarie. Anche lì il volere del referendum è stato aggirato.
Ora questo è a sostegno di quello che dici tu, i politici possono fare i furbi, ma questo dimostra anche che il referendum non è uno strumento utile a

risolvere i nostri problemi.
Dunque ecco quello che io dicevo. I referendari hanno cercato di usare il referendum come strumento di legislazione indiretta concorrente con quella

ordinaria, la gente andava a votare, questo avvenne soprattutto in quello sulla preferenza unica del 1991, perché era incazzata con la partitocrazia e usava

il referendum per dare uno schiaffone ai politici, poi tutto più o meno restava così.
Poi con il tempo la gente ha smesso di credere che il referendum fosse uno strumento utile anche per fare il gesto morale di dare lo schiaffone. Negli ultimi referendum l'astensione è stata del 75% di media, un dato che si commenta da solo.
L'astensione in un paese dove normalmente vota l'80 dei cittadini è un gesto politico, per cui l'idea che questo gesto debba essere annullato perchè i referendari dicono che siccome i referendum non raggiungono i risultati da loro sperati allora non funzionano, è un modo di pensare antidemocratico. Chi propone il referendum accetta consapevolmente di assumersi degli oneri, un po' come la regola che nel processo penale l'accusa ha l'onere della prova. Ebbene l'onere del referendum è quello di combattere una battaglia politica che coinvolga la maggioranza del corpo elettorale.
Altrimenti visto che gli astenuti sono il cancro da estirpare, perchè non gli togliamo il diritto di voto? In questo modo avremmo risolto.
Io ribadisco che l'astensione può essere un valore civile. Solo nelle elezioni farlocche sotto le dittature va a votare il 99.9 deli aventi diritto.


Sul resto, io credo che bisogna capirsi quando parliamo di certe cose. Il primo è che non va confusa la democrazia rappresentativa con la repubblica

parlamentare, che è una espressione della prima, ma non l'unica. Ora che la democrazia rappresentativa appartenga solo al campo delle idee è una cosa che

hayek non condividerebbe per nulla, essa è il prodotto delle idee e le idee devono far che si realizzi al meglio e non deragli dalla sua natura sfociando

nella democrazia totalitaria. Infatti esistono delle buone democrazie rappresentative.
Ora io ho già detto e ritengo che la democrazia rappresentativa è l'unica vera forma di democrazia, mentre quella diretta che tanto affascina molte persone

che oggi sono deluse dal nostro sistema politico sfocia inevitabimente in un gioco a somma zero dove tutti cercano di fregare tutti, insomma nel

totalitarismo e nell'arbitrio.

La repubblica parlamentare invece è il nostro sistema istituzionale. Forse semplifico eccessivamente, ma di fatti in questa forma di governo comanda il

parlamento a cui il popolo delega temporaneamente la sovranità, che ritorna al popolo il giorno delle elezioni affinché possa delegare di nuovo.
Questa forma di governo è quella che meno tollera istituti di democrazia diretta e i nostri costituenti lo sapevano benissimo e per questo la scelsero.
Non è niente casuale. Disegnarono un sistema in cui i partiti politici, che erano partiti di massa, sarebbero stati i soggetti centrali della vita politica,

economica e sociale del paese. Per questo previdero come forma residuale il referendum abrogativo, che ai loro era quasi inutile. In fondo per uomini come

Pertini o saragat o de gasperi o per togliatti, era inconcepibile che ci fossero persone che potessero promuovere azioni politiche al di fuori dei partiti, e

se c'erano andavano guardate con sospetto, anche alla luce del periodo storico che avevano passato.
Non è un caso che la legge attuativa del referendum, che si ebbe nel 1970, 22 anni dopo l'approvazione della costituzione, fu frutto di un patto politico e

fu usata dalla Dc e dal mondo cattolico come extrema ratio per la lotta contro il divorzio.

Naturalmente quel sistema era destinato a degenerare, come era successo nella terza e nella quarta repubblica francese, ed infatti così è stato.
Dal 1994 poi il nostro sistema ha subito una semimutazione genetica, perché con la discesa in campo, con il semimaggioritario, con le coalizioni e l'idea che

ci fosse l'elezione diretta del presidente del consiglio con il nome inserito sulla scheda, colpa di cui non smetteremo mai di rimproverare il presidente

ciampi per averlo permesso, il parlamento ha trasferito la sovranità, che nella prima repubblica aveva ceduto ai partiti; al governo, in particolare il capo

del governo, fino ad arrivare al porcellum che ha sovvertito ogni logica facendo si che di fatto il presidente del consiglio nomini la sua maggioranza la

quale per sopravvivere politicamente è tenuta a godere della fiducia del capo.

Per me, pensare di cambiare una situazione del genere con i referendum, i commissari prefettizi alle elezioni locali o con tutte le altre trovate che ci

possono venire in mente per sentirci buoni cittadini è una pia illusione. Per me tutti questi problemi si possono solo risolvere per via politica, costrundo

una diversa politica, come avviene nei paesi civili. Solo che quando lo dico mi si obietta in sostanza che in Italia c'è il popolo bue che è ignorante, rozzo

e non capisce nulla.

L'esempio di Pisapia è significativo. Un candidato che ha saputo parlare a persone di differenti fasce sociali e inclinazioni culturali, che si è presentato

con una proposta politica alternativa a quella della Moratti e ha vinto nella capitale del Berlusconismo. Io non lo avrei votato perché ritengo il suo

programma da neolitico, però è un esempio di come le cose che sembrano impossibili si possono fare e che gli italiani non sono i caproni che si pensa quando

hanno una alternativa credibile da scegliere.
Per quello che mi riguarda personalmente non ritengo mai il popolo bue, perché sono lincoliano. Ho rispetto di quello che pensano gli altri, solo che non mi

faccio influenzare.
Il 95% degli italiani è contrario al nucleare, è una scelta che rispetto ma che considero profondamente sbagliata e credo che tra 30 o 40 anni

quando vedremo le conseguenze di questa scelta(almeno speriamo che il buon Dio ci dia questa soddisfazione a noi nuclearisti) se ne renderanno conto anche

tanti altri.

Sull'argomento specifico della legge elettorale, ma davvero possiamo arrivare ad una buona legge con i referendum? Quando c'è stato il referendum sul

procellum? L'anno scorso o due anni fa mi sembra, andò a votare meno del 25% e ricordo piuttosto bene un articolo sul corriere del professor sartori, che

credo entrambi stimiamo, che invitava a non andare a votare perché la modifica che si voleva introdurre con il referendum gli sembrava peggio del male.
La legge elettorale è fondamentale, ma non è una legge neutra. Si tratta di una legge che ogni parte politica cerca di piegare ai propri vantaggi. Se ci

mettiamo qui in tre a discuterne non ne usciremo mai: io sono per il sistema inglese, tu per quello australiano, uno è già dichiarato per il sistema tedesco,

se arriva un altro sarà per il sistema francese. Pensare che dopo i referendum del 1991 e del 1993 siamo arrivati alla legge mattarella, con il 75%

maggioritario e il 25 proporzionale, mi sembra significativo. Finché non avremo un sistema politico chiaro, la legge elettorale non si farà mai.

Io vorrei riprendere anche un esempio già fatto, perchè filosofeggiamo tanto sui referendum che riguardano cose come la legge elettorale e non l'Unione Europea?
La partecipazione all'unione è molto più limitativa della sovranità di qualsiasi altra cosa.
Perché non abbiamo votato sulla nostra partecipazione all'Euro? Un argomento cu cui credo la totalità dei cittadini italiani sarebbe ansiosa di esprimersi.
Naturalmente sono domande retoriche, che però chi vuole una democrazia partecipata dovrebbe porsi.

Quindi concludendo la questione è chi siamo e dove vogliamo andare. Se il problema è che vogliamo una maggiore partecipazione dei cittadini sperando così

anche di migliorare la politica allora dobbiamo discutere non di come forzare uno strumento come il referendum che era stato pensato per altro, ma della

architettura generale della nostra repubblica.
Faccio un esempio che sto seguendo in questi giorni, che forse in Italia piacerebbe a molti, ed è quello della lettonia.
In questa simpatica repubblica baltica che consiglio vivamente di visitare(naturalmente senza la fidanzata dietro, mi ringrazierete), nei giorni scorsi si è

aperta una crisi politica fortissima, che è l'ultima di una lunga serie di scandali che hanno minato la credibilità della classe politica.
La magistratura ha aperto una indagine su uno degli oligarchi più potenti del paese ed ha chiesto al parlamento l'autorizzazione a perquisire l'abitazione di

questo personaggio che è sotto inchiesta per vari reati che vanno dalla corruzione al riciclaggio. La maggioranza ha rifiutato l'autorizzazione, tutte cose a

cui in Italia siamo abituati. Ebbene la costituzione lettone ha disegnato un modello di democrazia rappresentativa dove però il popolo ha un ruolo molto

attivo, questo perché sono stati scottati dal precedente regime. Dunque è successo che il presidente della repubblica preso atto del voto del parlamento ha

avviato la procedura per sciogliere il parlamento stesso, che secondo la costituzione lettone deve essere confermata con un voto popolare.
Il prossimo 23 luglio i cittadini saranno chiamati ad esprimersi in una sorta di referendum senza nessun tipo di quorum. Se vinceranno i si il parlamento si

scioglierà, se invece vinceranno i no, il parlamento continua la sua attività e la costituzione prevede che il presidente si deve dimettere.
I cittadini sono quindi arbitri.

Pensiamo a cosa sarebbe successo in Italia se avessimo avuto anche noi delle disposizioni analoghe.

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10/06/2011 20:49
 
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trixam, 08/06/2011 19.22:

Mah, mi sembra che tu stesso hai detto sopra che chi si astiene non necessariamente condivide lo status quo, io ho detto che sono d'accordo ma che

logicamente se si astiene e non condivide lo status quo significa che ritiene lo strumento referendario inadatto ad incidere concretamente sui problemi.


Non si raggiungerebbe mai il quorum e soprattutto è falsificato dagli esempi che porti dopo. Probabilmente chi non va a votare non comprende il senso del problema per l'eccessiva complessità e la scarsa pubblicità.



Faccio un paio di esempi che sono lapalissiani. Al referendum sulla responsabilità civile dei magistrati ci fu una valanga di voti a favore, e poi il

parlamento ha varato una legge per aggirare il risultato del referendum come tutti sappiamo. Idem con patate per i finanziamenti pubblici ai partiti dove i

referendum sono stati ben due con maggioranze più che plebiscitarie. Anche lì il volere del referendum è stato aggirato.
Ora questo è a sostegno di quello che dici tu, i politici possono fare i furbi, ma questo dimostra anche che il referendum non è uno strumento utile a

risolvere i nostri problemi.


La sua inutilità è conseguenza del vizio dell'intero sistema. Inoltre a questo punto il problema non è il quorum, ma l'istituto di cui potremmo fare a meno visto che anche negli esempi da te portati il quorum si è raggiunto.



Dunque ecco quello che io dicevo. I referendari hanno cercato di usare il referendum come strumento di legislazione indiretta concorrente con quella

ordinaria, la gente andava a votare, questo avvenne soprattutto in quello sulla preferenza unica del 1991, perché era incazzata con la partitocrazia e usava

il referendum per dare uno schiaffone ai politici, poi tutto più o meno restava così.
Poi con il tempo la gente ha smesso di credere che il referendum fosse uno strumento utile anche per fare il gesto morale di dare lo schiaffone. Negli ultimi referendum l'astensione è stata del 75% di media, un dato che si commenta da solo.


Dovresti anche riuscire a giustificare il referendum costituzionale... se la gente si è convinta che è inutile lo strumento non va a votare mai. Probabilmente ci sarà da giustificare anche questa tornata referendaria.


L'astensione in un paese dove normalmente vota l'80 dei cittadini è un gesto politico, per cui l'idea che questo gesto debba essere annullato perchè i referendari dicono che siccome i referendum non raggiungono i risultati da loro sperati allora non funzionano, è un modo di pensare antidemocratico.

C'è anche la scheda bianca... altro che antidemocratico. Inoltre l'astensione nel referendum equivale a voto contrario, quindi non è un gesto neutro di contestazione.


Chi propone il referendum accetta consapevolmente di assumersi degli oneri, un po' come la regola che nel processo penale l'accusa ha l'onere della prova. Ebbene l'onere del referendum è quello di combattere una battaglia politica che coinvolga la maggioranza del corpo elettorale.
Altrimenti visto che gli astenuti sono il cancro da estirpare, perchè non gli togliamo il diritto di voto? In questo modo avremmo risolto.
Io ribadisco che l'astensione può essere un valore civile. Solo nelle elezioni farlocche sotto le dittature va a votare il 99.9 deli aventi diritto.


Sul resto, io credo che bisogna capirsi quando parliamo di certe cose. Il primo è che non va confusa la democrazia rappresentativa con la repubblica

parlamentare, che è una espressione della prima, ma non l'unica. Ora che la democrazia rappresentativa appartenga solo al campo delle idee è una cosa che

hayek non condividerebbe per nulla, essa è il prodotto delle idee e le idee devono far che si realizzi al meglio e non deragli dalla sua natura sfociando

nella democrazia totalitaria. Infatti esistono delle buone democrazie rappresentative.
Ora io ho già detto e ritengo che la democrazia rappresentativa è l'unica vera forma di democrazia, mentre quella diretta che tanto affascina molte persone

che oggi sono deluse dal nostro sistema politico sfocia inevitabimente in un gioco a somma zero dove tutti cercano di fregare tutti, insomma nel

totalitarismo e nell'arbitrio.


Infatti non stiamo parlando di democrazia diretta tout court, ma di uno strumento residuale che corregge le potenziali distorsioni del sistema rappresentativo. Insomma sembra quasi che il referendum sia un problema italico. E' giusto che ci sia partecipazione, soprattutto nel nostro sistema rappresentativo che è viziato. Insomma al momento è più democratico il referendum che la camera delle attuali corporazioni.



La repubblica parlamentare invece è il nostro sistema istituzionale. Forse semplifico eccessivamente, ma di fatti in questa forma di governo comanda il

parlamento a cui il popolo delega temporaneamente la sovranità, che ritorna al popolo il giorno delle elezioni affinché possa delegare di nuovo.
Questa forma di governo è quella che meno tollera istituti di democrazia diretta e i nostri costituenti lo sapevano benissimo e per questo la scelsero.
Non è niente casuale. Disegnarono un sistema in cui i partiti politici, che erano partiti di massa, sarebbero stati i soggetti centrali della vita politica,

economica e sociale del paese. Per questo previdero come forma residuale il referendum abrogativo, che ai loro era quasi inutile. In fondo per uomini come

Pertini o saragat o de gasperi o per togliatti, era inconcepibile che ci fossero persone che potessero promuovere azioni politiche al di fuori dei partiti, e

se c'erano andavano guardate con sospetto, anche alla luce del periodo storico che avevano passato.



Come dice il buon Pannella tutta questa discontinuità tra la partitocrazia del partito unico del ventennio e l'attuale partitocrazia non la vedo.
Insomma il referendum abrogativo può essere uno strumento di segnalazione di un orientamento. Il fatto che venga disatteso è ulteriore rispetto al nostro ragionamento, perché quello è il segno di un vizio, anzi dovrebbe farci riflettere sulla reale portata dei nostri bilanciamenti del potere.



Non è un caso che la legge attuativa del referendum, che si ebbe nel 1970, 22 anni dopo l'approvazione della costituzione, fu frutto di un patto politico e

fu usata dalla Dc e dal mondo cattolico come extrema ratio per la lotta contro il divorzio.


Il fallimento segna proprio l'importanza dello strumento che diventa un chiaro indicatore delle tendenze politiche in atto nel Paese, ma in quel caso la gente andò a votare anche se era contraria. Insomma non si lucrò sull'astensione.

Naturalmente quel sistema era destinato a degenerare, come era successo nella terza e nella quarta repubblica francese, ed infatti così è stato.
Dal 1994 poi il nostro sistema ha subito una semimutazione genetica, perché con la discesa in campo, con il semimaggioritario, con le coalizioni e l'idea che

ci fosse l'elezione diretta del presidente del consiglio con il nome inserito sulla scheda, colpa di cui non smetteremo mai di rimproverare il presidente

ciampi per averlo permesso, il parlamento ha trasferito la sovranità, che nella prima repubblica aveva ceduto ai partiti; al governo, in particolare il capo

del governo, fino ad arrivare al porcellum che ha sovvertito ogni logica facendo si che di fatto il presidente del consiglio nomini la sua maggioranza la

quale per sopravvivere politicamente è tenuta a godere della fiducia del capo.

Per me, pensare di cambiare una situazione del genere con i referendum, i commissari prefettizi alle elezioni locali o con tutte le altre trovate che ci

possono venire in mente per sentirci buoni cittadini è una pia illusione. Per me tutti questi problemi si possono solo risolvere per via politica, costrundo

una diversa politica, come avviene nei paesi civili.


Qua nasce il controsenso. Il problema in Italia sono le regole del gioco e non solo i giocatori. Tu attendi il "buon dittatore" o il politico snaturato (cioè quello che non pensa a massimizzare le sue utilità). Per me questa categoria di soggetti non esiste. Finché le regole del gioco sono sbagliate, non avremo mai un buon capo del governo. Altrimenti ci potevamo tenere lo Statuto albertino. La nostra Costituzione ha dei limiti ormai sempre più evidenti e nessun santo o eroe ci attende. Un discorso che condividiamo è quello su Saviano. Il suo errore è credere che tutti possano essere eroi come lui, ma non si rende conto che ciò non è possibile e che per combattere la criminalità servono altre regole del gioco. Quanti magistrati come Borsellino e Falcone possiamo sperare di avere.. non è più semplice pensare a, per esempio, legalizzare la droga? Si avrebbero risultati migliori con una legge di questo tipo che con 10 Borsellino.
Tu riproponi lo stesso errore di Saviano solo che ne parli per i politici. Un politico che cambierà la storia dell'italia.. al momento vedo un'inquietante continuità. Le migliori riforme ci sono state dettate dell'esterno. Il punto è, quindi, cambiare le regole del gioco, perché con le attuali togliamo B. (lo toglieremo mai?) e ci ritroviamo Di Pietro o Vendola o Veltroni. Insomma da dove deve venire questo leader? Dai partiti? benissimo, ma da questi partiti non potrà mai venire (v. l'articolo di Panebianco sul berlusconismo). Parliamo di lotta continua tra fazioni ed interessi corporativi.



Solo che quando lo dico mi si obietta in sostanza che in Italia c'è il popolo bue che è ignorante, rozzo

e non capisce nulla.

L'esempio di Pisapia è significativo. Un candidato che ha saputo parlare a persone di differenti fasce sociali e inclinazioni culturali, che si è presentato

con una proposta politica alternativa a quella della Moratti e ha vinto nella capitale del Berlusconismo. Io non lo avrei votato perché ritengo il suo

programma da neolitico, però è un esempio di come le cose che sembrano impossibili si possono fare e che gli italiani non sono i caproni che si pensa quando

hanno una alternativa credibile da scegliere.


E' il berlusconismo che è in crisi. Milano voleva un'alternativa, ma il terzo polo ha portato via tanti voti e Pisapia ha vinto coalizzando anche l'estrema sinistra (se contiamo l'estrema sinistra e la scissione a destra, allora rischiamo che B. non avrebbe vinto le ultime elezioni e non avrebbe pareggiato quelle del 2006)


Per quello che mi riguarda personalmente non ritengo mai il popolo bue, perché sono lincoliano. Ho rispetto di quello che pensano gli altri, solo che non mi

faccio influenzare.
Il 95% degli italiani è contrario al nucleare, è una scelta che rispetto ma che considero profondamente sbagliata e credo che tra 30 o 40 anni

quando vedremo le conseguenze di questa scelta(almeno speriamo che il buon Dio ci dia questa soddisfazione a noi nuclearisti) se ne renderanno conto anche

tanti altri.


Sull'argomento specifico della legge elettorale, ma davvero possiamo arrivare ad una buona legge con i referendum? Quando c'è stato il referendum sul

procellum? L'anno scorso o due anni fa mi sembra, andò a votare meno del 25% e ricordo piuttosto bene un articolo sul corriere del professor sartori, che

credo entrambi stimiamo, che invitava a non andare a votare perché la modifica che si voleva introdurre con il referendum gli sembrava peggio del male.
La legge elettorale è fondamentale, ma non è una legge neutra. Si tratta di una legge che ogni parte politica cerca di piegare ai propri vantaggi.


La legge elettorale è la cartina al tornasole della democrazia


Se ci mettiamo qui in tre a discuterne non ne usciremo mai: io sono per il sistema inglese, tu per quello australiano, uno è già dichiarato per il sistema tedesco,

se arriva un altro sarà per il sistema francese. Pensare che dopo i referendum del 1991 e del 1993 siamo arrivati alla legge mattarella, con il 75%

maggioritario e il 25 proporzionale, mi sembra significativo. Finché non avremo un sistema politico chiaro, la legge elettorale non si farà mai.

Io vorrei riprendere anche un esempio già fatto, perchè filosofeggiamo tanto sui referendum che riguardano cose come la legge elettorale e non l'Unione Europea?
La partecipazione all'unione è molto più limitativa della sovranità di qualsiasi altra cosa.
Perché non abbiamo votato sulla nostra partecipazione all'Euro? Un argomento cu cui credo la totalità dei cittadini italiani sarebbe ansiosa di esprimersi.
Naturalmente sono domande retoriche, che però chi vuole una democrazia partecipata dovrebbe porsi.

Quindi concludendo la questione è chi siamo e dove vogliamo andare. Se il problema è che vogliamo una maggiore partecipazione dei cittadini sperando così

anche di migliorare la politica allora dobbiamo discutere non di come forzare uno strumento come il referendum che era stato pensato per altro, ma della

architettura generale della nostra repubblica.

Su questo siamo d'accordo, ma l'architettura generale passa anche per la trave referendum, che anche se extrema ratio deve essere normalizzato (l'esempio iniziale è quello della Germania, mica della corea del nord)


Faccio un esempio che sto seguendo in questi giorni, che forse in Italia piacerebbe a molti, ed è quello della lettonia.
In questa simpatica repubblica baltica che consiglio vivamente di visitare(naturalmente senza la fidanzata dietro, mi ringrazierete), nei giorni scorsi si è

aperta una crisi politica fortissima, che è l'ultima di una lunga serie di scandali che hanno minato la credibilità della classe politica.
La magistratura ha aperto una indagine su uno degli oligarchi più potenti del paese ed ha chiesto al parlamento l'autorizzazione a perquisire l'abitazione di

questo personaggio che è sotto inchiesta per vari reati che vanno dalla corruzione al riciclaggio. La maggioranza ha rifiutato l'autorizzazione, tutte cose a

cui in Italia siamo abituati. Ebbene la costituzione lettone ha disegnato un modello di democrazia rappresentativa dove però il popolo ha un ruolo molto

attivo, questo perché sono stati scottati dal precedente regime. Dunque è successo che il presidente della repubblica preso atto del voto del parlamento ha

avviato la procedura per sciogliere il parlamento stesso, che secondo la costituzione lettone deve essere confermata con un voto popolare.
Il prossimo 23 luglio i cittadini saranno chiamati ad esprimersi in una sorta di referendum senza nessun tipo di quorum. Se vinceranno i si il parlamento si

scioglierà, se invece vinceranno i no, il parlamento continua la sua attività e la costituzione prevede che il presidente si deve dimettere.
I cittadini sono quindi arbitri.

Pensiamo a cosa sarebbe successo in Italia se avessimo avuto anche noi delle disposizioni analoghe.


Uhm... credo nulla... visto che B. vince tutte le elezioni (falsate dalle leggi elettorali antidemocratiche che portano al governo chi non raggiunge nemmeno il 43% dei consensi... altro che legge truffa) da anni ormai.





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