Caro Trixam, evidentemente nei nostri interventi non abbiamo evidenziato a sufficienza gli aspetti – forse pochi – sui quali siamo rispettivamente d’accordo. Non ho mai detto né pensato che l’unica alternativa al berlusconismo sia arrendersi o magari chiudersi in un deleterio e controproducente aventinismo. Anch’io credo sia necessario tornare alla politica, quella vera, quella che costruisce alternative ed eleva il confronto.
Nel mio intervento precedente, però, ritenevo specioso il parallelismo tra i critici della
way of life berlusconiana e il trionfo dell’antipolitica.
Innanzitutto, vorrei precisare che la politica è anche burocratismo. Con ciò non nego l’importanza dell’elemento comunicativo, però non possiamo accettare né sostenere che tale aspetto debba addirittura prevaricare la sostanza dell’azione politica nella sua concretezza. Lo dico da
liberal convinto e profondo sostenitore di Obama fino al midollo, un presidente che fino ad ora ha brillato più per carisma e ars oratoria che capacità di attuare il suo programma iniziale di riforme. Dispiace, ma quando vi è da redigere un bilancio c’è bisogno di tecnici, quando c’è da varare una riforma economica vi sono dei modelli matematici da rispettare, per cui un politico capace deve incarnare anche la figura del burocrate. I proclami e gli slogan saranno affascinanti ma il trattato di Maastricht non fa differenza tra un tasso d’indebitamento ben infiocchettato e un freddo dispaccio ministeriale; un eccellente spin doctor come Giddens non risolverà la crisi di RBS né riuscirà a dare mai una risposta concreta ai problemi delle lavoratrici madri.
Consapevole di appartenere a quella sparuta minoranza che appoggia l’
outsider di turno preferirò sempre un noiosissimo ma concreto burocrate ad uno sfavillante ma fumoso comunicatore.
Veniamo al rapporto tra istruzione e partecipazione alla vita della res publica.
L’assenza di una dimostrazione empirica che avalli la correlazione tra alta scolarizzazione e più elevata consapevolezza nelle scelte dei cittadini è smentita dalle considerazioni sul controllo delle nascite. Una società molto povera, che non ha risorse a sufficienza per i suoi membri, trarrà grave nocumento da un esponenziale ed incontrollato incremento demografico. Come insegnava John Stuart Mill più di centocinquanta anni or sono, solo un’adeguata istruzione renderà le masse popolari edotte del rischio che comporta un tasso di natalità troppo elevato rispetto alla ricchezza collettiva ed individuale esistente nella nazione in quel determinato periodo storico. Per avvalorare tali considerazioni si pensi al problema quanto mai attuale delle gravidanze adolescenziali indesiderate. La risposta più efficace in questi casi non può che venire dall’educazione sessuale. Nessuna persona assennata potrà mai pensare di risolvere la questione semplicemente imponendo maggiori restrizioni ai
mores degli adolescenti.
La verità è che proprio la responsabilizzazione dei cittadini nelle proprie scelte costituisce l’argine più efficace ad un intervento autoritativo dello stato – che dovrebbe essere il vero nemico di voi liberisti – il quale troverebbe comunque una sua empia autolegittimazione nella tutela di interessi collettivi e superiori rispetto all’interesse individuale.
L’esempio della Finlandia, a questo proposito, prova ben poco. Sarà anche accettabile l’idea secondo cui ad un elevatissimo livello di educazione non corrisponde necessariamente un forte empito alla partecipazione nelle scelte pubbliche ma non è vero l’opposto. Una partecipazione responsabile, ragionata ed efficace necessita imprescindibilmente di un buon livello di informazioni disponibili. Condivido il passaggio sulla dispersione delle conoscenze ma ciò non fa che avvalorare la mia tesi di fondo. Se analizziamo brevemente in prospettiva storica le forme con le quali il popolo ha partecipato alle scelte collettive vediamo quanto l’istruzione – intesa come bagaglio di conoscenze necessario a costruire una
clara et distincta perceptio Cartesiana – abbia inciso in maniera essenziale sugli accadimenti storici. Prendiamo a titolo d’esempio le tante rivoluzioni di matrice liberale fallite o soffocate nel sangue. Penso al movimento decabrista il cui fatale destino è dipeso dall’assenza di partecipazione delle masse popolari al tentativo d’insurrezione. Gli ideali propugnati dall’i
ntellighenzia – il termine non è casuale – russa dell’epoca parlavano di abolizione della servitù della gleba, negazione dell’assolutismo, libertà di iniziativa economica, tutti valori che avrebbero liberato gli strati più poveri della popolazione dal giogo della nobiltà zarista. Ora si vuole sostenere che tali sommovimenti fallirono solo per scarsa attrattività dei propugnatori o perché prive di spessore politico? Credo proprio di no. Ogni qual volta una
elite illuminata – e per tale intendo un gruppo di persone ispirata da ideali di stampo illuministico – ha tentato di costruire un’alternativa all’assolutismo, in un contesto sociale caratterizzato da bassissimi livelli di educazione, ha sempre pagato con sangue e rivolta tale iniziativa. Fin quando la maggioranza della popolazione non sarà informata adeguatamente su vantaggi e svantaggi di un determinato progetto politico vi sarà sempre una Santa Fede pronta ad insinuarsi veneficamente tra le pieghe più recondite degli istinti popolari.
Il mondo moderno, a causa del progresso scientifico e tecnologico, ci obbliga ai fini di una scelta consapevole a possedere quante più informazioni possibile. Il pluralismo dell’informazione – inteso come presenza contemporanea del numero più variegato possibile di opinioni e certo non alla maniera sovietica – è elemento basilare ed irrinunciabile per la comprensione delle cose in una realtà totalmente diversa da quella esistente cento anni fa. Agli inizi del ‘900 le masse operaie, nonostante il basso livello di scolarizzazione, riuscivano a coalizzarsi e avanzare istanze di maggior valorizzazione del rapporto di lavoro perché i partiti politici, anche sottoforma di associazionismo clandestino, oltre ad essere formidabili catalizzatori di insofferenze più o meno sopite, svolgevano anche una funzione didattica. La cosa era resa possibile anche dall’esiguità, almeno se paragonate ad oggi, delle informazioni necessarie al fine di una seppur superficiale presa di coscienza del proprio stato. Oggi le cose non stanno più così. Cento anni fa non c’era il nucleare e non si chiedeva alle persone di capire cosa è una barra d’uranio e che differenza passa tra fusione e fissione. Effetto automatico di tale evoluzione è il ruolo dei media in quanto
maitre a penser.
Prima hai proposto l’esempio della Finlandia , io invece rispondo con l’esempio francese. Non mi dilungo troppo sul regime ivi vigente e sui poteri della Presidenza della Repubblica se non per sottolineare come il vero e proprio contrappeso del Presidente, il “monarca repubblicano”, altro non è che l’opinione pubblica. Potrebbe mai esistere un così vigoroso baluardo di democrazia se i francesi avessero un livello d’istruzione media pari a quello presente in alcune regioni del sud Italia?
Per cui, assodata l’irrinunciabilità d’una opinione pubblica matura e consapevole, bisogna chiedersi, in un mondo caratterizzato dalla tendenza verso la complessità, come evitare ineluttabile allontanamento delle persone dalle fonti di conoscenza ed informazione. Partendo sempre dall’assunto che conoscere è fondamentale per scegliere razionalmente, come attirare o almeno limitare l’emorragia di sempre più vaste fette della popolazione che si lasciano abbacinare dal luccicore del qualunquismo? Come rendere un giornale appetibile ai desideri di un lettore? Ecco, in questo caso condivido pienamente un discorso sulla necessità di una valida capacità comunicativa. L’individuo, nel momento in cui vuole informarsi, fa una ponderazione tra l’utilità marginale del suo tempo libero speso in facezie e l’utilità marginale dello stesso speso però nel ricercare informazione. Ora, se l’utilità marginale della seconda attività è superiore alla prima, il soggetto si informerà. Come risolvere questo contrasto, che altro non è che una scelta tra l’annoiarsi un po’ e il cazzeggiare? A mio modo di vedere, in questi casi, è l’obiettivo di arrivare a quanti più destinatari possibile ciò che conta. Per cui se il FT vuole allegare l’inserto con le doti più in vista di Ruby, che ben venga, allo stesso modo se Playboy si avvalga si Boskin come columnist.
Ora, se permetti, un dardo contro l’incoerenza vorrei scagliarlo anche io, così non sei il solo a divertirti. Se il voto è composto da una grossa componente irrazionale, come sostenuto da Lakoff, ciò non significa che una democrazia sia sana. La presa d’atto che alle consultazione elettorali gli istinti spesso prevalgono sui ragionamenti non migliora le cose, né tantomeno deve portarci a subire tale abominio dell’intelletto come un dato di fatto per cui la politica deve, adattandosi, supinamente accettare lo
status quo.
L’idea di un popolo che vota consapevolmente è il basamento del concetto di sovranità. E il concetto di sovranità popolare non è una invenzione del soviet supremo, bensì è una delle caratteristiche più innovatrici e di rottura del pensiero liberale. Essa nasce come limite all’assolutismo, all’idea di stato che trova in sé la sua ragione giustificatrice. Come ci si piò arrendere all’idea che il voto, massimo esercizio della sovranità popolare, sia dominato nella sua totalità da componenti irrazionali? Che differenza ci sarebbe tra una dittatura e una democrazia se la volontà popolare è un mero coacervo di istinti e pulsioni irrazionali?
Allora sei tu, se permetti, che ti arrocchi meditabondo entro le mura della sconfitta, perché svuotare della sua essenza primigenia il concetto di sovranità popolare apre la strada alla concezione Hegeliana dello stato, testa di ponte dei regimi autoritari. Come si fa ad accettare l’idea di un popolo che vota inconsapevolmente e allo stesso tempo difendere i valori di libertà che la moderna concezione dello stato liberale ci ha fornito? Il sonno della ragione genera mostri. Ragionando così si rischia di partorire il mostro per antonomasia: il totalitarismo.
“
The open society from his enemy” si diceva canzonando Popper. Ovviamente detto per celia.