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Mr Arrogance ed il leone

Ultimo Aggiornamento: 22/09/2010 22:59
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21/09/2010 00:49
 
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L’A.D. non conferma, ma tutti danno per certe le sue dimissioni. Come si è arrivati a questa situazione? E quali cause le avrebbero provocate?
L’ufficialità ancora non c’è, ma tutti lo danno per certo. Alessandro Profumo sta per lasciare Unicredit, la “sua” banca. Sedici anni di carriera, tredici da amministratore delegato e l’avventura di una banca come Piazza Cordusio che ha assunto dimensioni internazionali acquistando in Germania la Hvb, dal glorioso passato e dal presente non entusiasmante. Ma un buon affare per farsi affibbiare la patente di banca “internazionale”, e non solo italiana. E poi poter dire che il mercato libero è quello che manca in Italia, e che il ritorno degli azionisti è l’unico interesse che lo guida.

MISTER ARROGANCE – Due anni fa, Profumo sembrava mezzo morto. Lo scontro con Cesare Geronzi per Mediobanca l’aveva perso, e per colpa sua. Dopo aver acquistato Capitalia, il McKinsey boy aveva creduto davvero alle favole del banchiere di Marino, che gli sembrava pronto e rassegnato alla pensione. Tanto più che c’era Intesa a fare le veci di Mediobanca, e quindi sembrava che di lui non ci fosse più bisogno. Poi, la crisi economica. E gli scricchiolii, sempre più potenti, alle fondamenta di Unicredit. Anche Piazza Cordusio ha ‘peccato’: la più internazionale delle nostre banche, ha fatto l’americana. E adesso c’è chi dentro trema, finché non arrivano gli altri ad offrire un’ancora di sicurezza. Ovvero, Geronzi. Che può così traslocare in Generali, e sedersi sul tesoretto più sicuro e la compagnia più solida del salotto buono italiano.Cominciano a chiamarlo Arrogance, riferendosi a una marca di profumo, già da qualche tempo quando possono anche cominciare ad attaccarlo anche per i risultati negativi della banca. Prima erano il suo baluardo, i conti: mi criticate? Ecco quanto sono stato bravo, quest’anno il 10% in più dell’anno scorso. Come potrei aver torto?Aveva torto. La storia della Libia causa tensioni tra Profumo e Rampl, il presidente espressione dei tedeschi, sorte sulla questione della crescita del peso dei soci libici nel capitale, di cui il presidente non era stato preventivamente informato.Anche se c’è di più. L’A.D. ha anche detto in alcune occasioni di non sapere nulla dell’avanzata dei soci libici, quando gli acquisti delle azioni erano stati effettuati da uffici di Unicredit. Poco credibile. A Profumo, oltre a rilievi sul piano della comunicazione interna, sarebbero rimproverati anche risultati economici sotto le aspettative e la perdita di valore del titolo. A lamentare da mesi una scarsa dialettica con l’amministratore delegato, le maggiori Fondazioni azioniste (Cariverona, Crt e Carimonte), ma anche soci privati come Pesenti e Maramotti.

I SOLITI COLPEVOLI? - Ma chi ha incastrato Alessandro Profumo? Le fantacronache della fantafinanza sono infarcite di aneddoti che collegano Gheddafi e Geronzi, e ne traggono le complottistiche versioni: l’A.D. sarebbe caduto in una trappola organizzata dal diabolico banchiere di Marino, che così avrebbe finalmente avuto la testa dell’ultimo banchiere che ha osato sfidarlo. Una versione sanguinaria finora non suffragata da alcuna pezza d’appoggio o prova, anzi. E a smentirla ulteriormente la voce che voleva Matteo Arpe fra i papabili alla successione di Profumo: degli scontri tra Geronzi e Arpe in Capitalia l’eco si sente ancora oggi, oltre che potersi leggere – nella versione di Arpe, spesso – sul Financial Times. Ma è un nome meno gettonato, rispetto a Claudio Costamagna, Fabio Gallia e Auletta Armenise. E allora c’è chi imputa la caduta di Alessandro il Grande – come recitava un nomignolo da lui, boy scout, poco gradito – alla pressione della Lega sulle fondazioni, in seguito all’entrata dell’arabo Gheddafi. Ma è anche vero che qualche giorno fa Umberto Bossi era stato chiaro: i libici sono graditi, perché portano soldi, aveva detto più o meno per far capire che La Padania non faceva sul serio. Insomma, anche i leghisti hanno degli alibi perfetti. Come tutti i colpevoli, del resto.

CERCATE IL SUCCESSORE - Ma sarà fondamentale vedere chi sarà il suo successore. Se fosse un a.d. vicino a taluni settori della finanza o della politica italiana, allora automaticamente avremmo il colpevole servito su un piatto d’argento. Se fosse un altro uomo di mercato, allora l’ipotesi più probabile è quella più brutta, per il boy scout: ad oggi, guardando l’andamento del titolo in Borsa, per l’addio di Profumo di Unicredit, l’unico colpevole sembra essere il mercato. Che ha voltato le spalle, guarda caso, a uno che diceva di amarlo. Quanto è strana la vita, eh?
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21/09/2010 00:50
 
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Amministratore delegato di Unicredit dalla fondazione nel 1997, Alessandro Profumo, 53 anni, si e’ imposto sulla scena finanziaria per lo stile inedito, connubio tra modernita’ aggressiva e un rigore da capitalismo calvinista. Ultimo di cinque figli, nato a Genova e cresciuto a Palermo, si e’ trasferito a Milano gia’ ragazzo cominciando poco piu’ che maggiorenne la propria esperienza nel mondo del credito al Banco Lariano, dal 1977 al 1987. Di giorno allo sportello, di sera sui libri, per una laurea in Economia e commercio alla Bocconi.

Dopo il passaggio in McKinsey (1987-1989), come responsabile dei progetti strategici e organizzativi per aziende finanziarie, e in Bain & Cuneo a capo delle relazioni istituzionali, nel 1991 assume la direzione centrale della Ras. Quest’ultima, come azionista di maggioranza relativa del Credit, nel 1994 ‘gira’ Profumo nella banca neoprivatizzata. Qui il manager si intende subito con il ’senatore’ del credito, il presidente della banca Lucio Rondelli, con il quale passa presto dall’incarico di condirettore centrale a quello di direttore generale, per assumere quindi l’incarico di amministratore delegato nel 1997 e dar vita al gruppo omonimo nel 1998. Da questo momento inizia una vera campagna di acquisizioni, che gli fa conquistare sulla stampa internazionale l’appellativo di Alessandro ‘il Grande’.

Del 2005 e’ l’integrazione con la tedesca Hvb. Mentre nel 2007 con Capitalia da’ vita ad uno dei piu’ grandi gruppi bancari europei. Appena apparso sulla scena, in un sistema bancario ancora ingessato, Profumo si e’ mosso da subito dichiarando di avere all’orizzonte il solo faro della concorrenza e di puntare a conquistare clienti con servizi migliori, a motivare il personale con incentivi e a premiare gli azionisti facendo crescere il valore dell’azienda. Il cosiddetto ’salotto buono’ ha pero’ guardato spesso con sospetto tale dichiarata indipendenza. In uno dei suoi tipici calembour fulminanti l’esperto di gossip Roberto D’Agostino gli ha affibbiato l’imperituro soprannome di Arrogance, come un celebre profumo, ma per anni i risultati del manager gli hanno dato ragione, mettendo a tacere anche le critiche.

A 53 anni Profumo viene tutt’ora annoverato tra i ‘giovani’ manager su piazza, formatosi come molti altri ‘McKinsey Boys’ - Corrado Passera, Vittorio Colao o Paolo Scaroni - nella societa’ di consulenza divenuta a un certo momento vera e propria fucina dell’alta dirigenza italiana. Identificato come campione della classe dirigente liberal, nell’ottobre del 2007 si e’ anche recato a votare per le primarie insieme alla moglie Sabina Ratti, candidata nella lista di Rosy Bindi. Anche per questo e’ stato spesso tirato per la giacchetta dalla sinistra, sfilandosi pero’ puntualmente agli inviti a un impegno diretto in politica.

Di Profumo e’ celebre soprattutto l’allergia ai giochi di potere. Uno dei gesti forse piu’ eclatanti per marcare questa distanza ideologica si e’ visto nel 2004 con l’Rcs, ’stanza dei bottoni’ del Corriere della Sera. Al momento della sistemazione della quota Romiti entrano in patto Diego Della Valle, Salvatore Ligresti e a sorpresa Cesare Geronzi, comprando un 2% tramite Capitalia. Profumo sbatte la porta, si dimette dal consiglio e vende la propria quota dell’1% (copione poi ripetuto con la quota ereditata da Capitalia).(ANSA).
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21/09/2010 19:58
 
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L’ex AD lascia il suo incarico con una lettera al cda; ha perso la guerra per l’indipendenza del management a garanzia dell’autonomia dell’istituto.
Nel paese del familismo, delle gerontocrazie, delle caste e della immarcescibile partitocrazia d’assalto, non si sbaglia mai guardando in filigrana molte vicende a vedere appetiti politici all’opera per appropriarsi di fette di potere. E le banche sono un potere. UniCredit è un centro di potere immenso e strategico nel paese. Chi non ne fosse convinto, potrebbe andarsi a rivedere la vicenda oscena del “salvataggio” di Alitalia a spese dei contribuenti nel quale Banca Intesa ebbe un ruolo determinante e comportamenti non propriamente cristallini (ad opinione di chi scrive).

CHI CONTROLLA UNICREDIT – La tabella di seguito chiarisce quali siano i maggiori azionisti di Unicredit. Appare evidente il ruolo determinante delle Fondazioni Bancarie i cui amministratori, sono nominati dalle autorità politiche locali. Fondazione CRT, ad esempio è torinese ed i suoi vertici sono nominati dalle amministrazioni locali torinesi.



LA CAUSA SCATENANTE – Nell’azionariato UniCredit è presente la Banca Centrale Libica con una quota del 4,613% del capitale. Di recente, un’altra istituzione finanziaria libica, la Lybina Investment Authority ha acquistato azioni UniCredit pari al 2,59% del capitale. La sommatoria delle quote libiche ammonta al 7,20%, assai rilevante al fine del controllo dell’Istituto italiano. Riesaminando la tabella che precede, è evidente come le quote in mano ai libici diventano importanti e rilevanti. L’ingresso di Lybian Investment Authority è stato ritenuto una iniziativa dell’AD Profumo il quale ne avrebbe tenuto all’oscuro anche il presidente di Unicredit il tedesco Dieter Rampl. Oltre ad aver negato, Profumo ha correttamente osservato che non avrebbe neppure potuto rivelare la circostanza: se lo avesse fatto avrebbe violato normative bancarie e penali.

LE IRE DELLA LEGA – L’ingresso dei libici, ha suscitato le ire della Lega. All’indomani delle regionali per loro vittoriose, sia Bossi che altri esponenti leghisti avevano avvertito che avrebbero collocato loro uomini nelle banche del Nord. Ed infatti nella Fondazione Cariverona, c’è stato un pienone leghista. Le doglianze del governatore Zaia e del sindaco di Verona Tosi, sono state davvero singolari per la loro scarsa qualità e l’incomprensione della diversità di modello di business, ruolo economico ed operatività tra una multinazionale bancaria come UniCredit ed una cassa rurale ed artigiana qualsiasi. Il governatore Zaja come raccontato da Libero, dice: “Siamo di fronte a una scalata bella e buona dei libici. Che vanno innanzitutto contingentati”. “Per garantire il libero mercato, noi vorremmo capire bene se questo è semplicemente un investimento o una scalata perchè voglio ricordare che non è che noi vogliamo fare ingressi a gamba tesa nel libero mercato, ma Unicredit è figlia dei territori, di Fondazioni che sono rette dagli Enti pubblici. E sottolineo, siccome qualcuno lo dirà, che noi ci permettiamo di intervenire perchè siamo lì con i nostri rappresentati: gli amministratori li nominiamo noi“. Il sindaco Tosi più esplicitamente sostiene che UniCredit è una banca che deve curare le imprese ed i privati del territorio essendo partecipata dalle fondazioni che dei territori sono espressione.

IL PERCHE’ DELLA BATTAGLIA – Il combinato disposto di queste considerazioni è che siccome i politicanti nominano i vertici delle fondazioni che sono azioniste di UniCredit, per la proprietà transitiva, i politicanti leghisti e non intendono ficcare il naso nella gestione di UniCredit. –secondo le peggiori e più devastanti pratiche che hanno semidistrutto il paese. Marginalmente osserviamo che queste pratiche sono quelle proprie di Roma ladrona e denunciate stando fuori dalle stanze dei bottoni. Salvo cambiare idea entrandoci in quelle stanze. La battaglia intorno a Profumo vede quest’ultimo episodio come fase finale di una guerra cominciata tempo fa in maniera molto sotterranea e che va al di là della persona di Alessandro Profumo per il quale parlano i risultati. Come benissimo precisa Orazio Carabini sul Sole 24 Ore la guerra vera è tra chi come Profumo vuole l’indipendenza del management per garantire l’indipendenza dell’istituto e chi vuole metterci le zampe politiche. Ed è esattamente questo che ha determinato la saldatura di interessi tra le Fondazioni ed i tedeschi guidati dal Presidente Rampl.

L’AVVISAGLIA DELLA BATTAGLIA – Una prima avvisaglia c’era stata qualche tempo fa quando entrò nell’azionariato UniCredit il fondo di Abu Dhabi Aabar AABAR.AD con il 4,99% del Capitale determinando qualche brontolio. Ma l’operazione costituiva una diversificazione nell’azionariato di controllo funzionale all’autonomia del management. E si conferma anche per questa via che l’autonomia difesa da Profumo è l’oggetto del contendere. I brontolii erano però stati preceduti da prese di posizioni e decisioni politiche nazionali assunte dal ministro dell’Economia Tremonti sulla scorta della vera e propria scusa di un presunto dovere della politica di riappropriarsi di un primato che in Italia non avevs mai perso. Purtroppo. Val la pena di ricordare affermazioni del tipo “le banche italiane non parlano inglese”a precedere iniziative come i Tremonti bonds che al di là di un qualsivoglia giudizio avevano un contenuto surrettizio di condizionamento imposto alle banche che li avessero sottoscritti. Ma non bisogna dimenticare né la discutibilissima ed inutile operazione Banca del Sud né lo stravolgimento del ruolo della Cassa Depositi e Prestiti né la costituzione di un Fondo pubblico e para-statale di private equity. Tutti preclari esempi del reingresso della politica nel mondo finanziario, arbitra quindi nell’assegnare finanziamenti a seconda di criteri che potrebbero non più tecnici. Ovvero di ridursi a credito cooperativo per la gioia di chi pretende di osservare il mondo da un campanile da cui non si è mai mosso.

E IL LIBERALISMO? – Mette conto di rimarcare, in ultimo, che UniCredit detiene partecipazioni importanti tra cui quella in MedioBanca crecevia di finanza e potere e primo azionista di Assicurazioni Generali dove è stato eletto quale presidente Cesare Geronzi che è l’archetipo del banchiere politico. Tanto per rimarcare la diversità di logica tra chi cerca di infiltrarsi dove la politica nn dovrebbe e chi crede nel mercato, valga il commento espresso dal Prof. Zingales rilasciato all’epoca nella quale Geronzi assunse la presidenza proprio di Mediobanca. Ed anche questo testimonia della rilevanza del conflitto e la speranza che la nuova, radiosa politica del fare venga sconfitta. La battaglia vera è questa: la politica che prova a riprendersi un ruolo che per qualche tempo era stato ridimensionato. E non è neppure paradossale che questi tentativi avvengano ad opera di politici che si arrogano il diritto di definirsi liberali, ricordiamo la rivoluzione liberale, vero? salvo operare come dei normalissimi socialisti craxiani.
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22/09/2010 16:31
 
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Le dimissioni di Profumo sono una sconfitta per la banca, ma soprattutto per i dipendenti di Unicredit non entrati per nomina politica.
Profumo aveva promosso una reale meritocrazia, che in parte gli aveva causato parecchi problemi con i sindacati interni.
La sua sconfitta è frutto del suo successo.
Pensava che il fatto di aver preso una banca moribonda e averla portata ad essere il secondo più grande gruppo europeo, gli desse il diritto di governo in solitario in stile banchiere americano.
Doveva ascoltare la lezione del professor Bazoli, il presidente di Intesa San paolo, il quale ad aprile ad ottantuno anni suonati ha orgogliosamente respinto i rozzi tentativi della lega di prendere una quota di potere dominante nella banca. Bazoli dice: "gli azionisti di una banca non contano un cazzo, ma un manager non deve farglielo capire".
Profumo invece ha preso a schiaffi i suoi azionisti per due anni, finchè quelli non si sono stancati e lo hanno mandato a casa.
Il più grande errore di Profumo è stata la fusione con Capitalia del 2007, la banca di Geronzi. Ovviamente Unicredit doveva riequilibrarsi in patria dopo la fusione intesa san paolo imi, ma Capitalia era il soggetto peggiore. Paradossalmente profumo che è stato il manager più mercatista, si fece guidare da considerazioni politiche, pensava di far fuori il cesarone romano e conquistare l'egemonia di banchiere di riferimento in Italia. Ma Geronzi è l'equivalente di Andreotti nella finanza, ha mille vite e amicizie occulte.
Così Profumo si beccò i debiti di Capitalia e dovette ingoiare due sconfitte capitali: la nomina di Cesarone a presidente di Mediobanca e poi la scorsa primavera addirittura al vertice delle Generali con l'approvazione di Berlusconi.
Gli ultimi due anni poi sono storia nota, Profumo gestì malissimo la crisi post lehman. Si ostinò a negare l'aumento di capitale, salvo smentirsi nel momento in cui era più debole, con il gran rifiuto di Cariverona di sottoscrivere la quota e l'intervento provvidenziale di Gheddafi senza il quale avrebbe portato i libri in tribunale.
Da quel momento le fondazioni bancarie sono state contro di lui e lentamente, prima gli hanno scavato il vuoto intorno e poi lo hanno mandato a casa. Resta a dir poco pazzesco che una banca come unicredit licenzi l'amministratore delegato al buio, senza aver già pronto un sostituto.
Ora Bossi si lamenta che bisogna limitare il potere dei tedeschi, i quali sono gli unici a brindare veramente in questa faccenda.
Profumo li aveva messi all'angolo con una operazione finanziaria da maestro, oggi si ritrovano un banca in mano perché gli italiani difendono l'italianità contro i libici.
Solo in un paese disgraziato come il nostro possono succedere cose del genere.
Già mi vedo Bossi che propone come nuovo amministratore delegato suo figlio Renzo, meglio noto come il Trota. Trota for Ceo!

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22/09/2010 18:31
 
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Re:
trixam, 22/09/2010 16.31:

Le dimissioni di Profumo sono una sconfitta per la banca, ma soprattutto per i dipendenti di Unicredit non entrati per nomina politica.
Profumo aveva promosso una reale meritocrazia, che in parte gli aveva causato parecchi problemi con i sindacati interni.
La sua sconfitta è frutto del suo successo.
Pensava che il fatto di aver preso una banca moribonda e averla portata ad essere il secondo più grande gruppo europeo, gli desse il diritto di governo in solitario in stile banchiere americano.
Doveva ascoltare la lezione del professor Bazoli, il presidente di Intesa San paolo, il quale ad aprile ad ottantuno anni suonati ha orgogliosamente respinto i rozzi tentativi della lega di prendere una quota di potere dominante nella banca. Bazoli dice: "gli azionisti di una banca non contano un cazzo, ma un manager non deve farglielo capire".
Profumo invece ha preso a schiaffi i suoi azionisti per due anni, finchè quelli non si sono stancati e lo hanno mandato a casa.
Il più grande errore di Profumo è stata la fusione con Capitalia del 2007, la banca di Geronzi. Ovviamente Unicredit doveva riequilibrarsi in patria dopo la fusione intesa san paolo imi, ma Capitalia era il soggetto peggiore. Paradossalmente profumo che è stato il manager più mercatista, si fece guidare da considerazioni politiche, pensava di far fuori il cesarone romano e conquistare l'egemonia di banchiere di riferimento in Italia. Ma Geronzi è l'equivalente di Andreotti nella finanza, ha mille vite e amicizie occulte.
Così Profumo si beccò i debiti di Capitalia e dovette ingoiare due sconfitte capitali: la nomina di Cesarone a presidente di Mediobanca e poi la scorsa primavera addirittura al vertice delle Generali con l'approvazione di Berlusconi.
Gli ultimi due anni poi sono storia nota, Profumo gestì malissimo la crisi post lehman. Si ostinò a negare l'aumento di capitale, salvo smentirsi nel momento in cui era più debole, con il gran rifiuto di Cariverona di sottoscrivere la quota e l'intervento provvidenziale di Gheddafi senza il quale avrebbe portato i libri in tribunale.
Da quel momento le fondazioni bancarie sono state contro di lui e lentamente, prima gli hanno scavato il vuoto intorno e poi lo hanno mandato a casa. Resta a dir poco pazzesco che una banca come unicredit licenzi l'amministratore delegato al buio, senza aver già pronto un sostituto.
Ora Bossi si lamenta che bisogna limitare il potere dei tedeschi, i quali sono gli unici a brindare veramente in questa faccenda.
Profumo li aveva messi all'angolo con una operazione finanziaria da maestro, oggi si ritrovano un banca in mano perché gli italiani difendono l'italianità contro i libici.
Solo in un paese disgraziato come il nostro possono succedere cose del genere.
Già mi vedo Bossi che propone come nuovo amministratore delegato suo figlio Renzo, meglio noto come il Trota. Trota for Ceo!





Questa volta sono completamente d'accordo con te.


L'analisi di Giannini

i MASSIMO GIANNINI
La battaglia contro Alessandro Profumo e la conquista di Unicredit è l'ultima, grande operazione del capitalismo di rito berlusconiano-geronziano. L'indecoroso "dimissionamento" dell'amministratore delegato e il clamoroso ribaltone al vertice della prima banca italiana non è solo la sconfitta di una certa idea del libero mercato, dove ognuno fa il suo mestiere: la politica detta le regole del sistema, i manager gestiscono le società creando valore per gli azionisti, e i soci incassano gli utili e i dividendi. In Italia non funziona così: nelle grandi casseforti dell'economia e della finanza, spesso blindate tra partecipazioni incestuose e relazioni pericolose, politici arrembanti e azionisti deferenti si alleano per far fuori i manager disobbedienti. Letta in questa chiave, la battaglia di Piazza Cordusio e la cacciata di Profumo lasciano sul campo due sicuri vincitori: Silvio Berlusconi e Cesare Geronzi. Il presidente del Consiglio ottiene una vittoria politica, in vista dell'appuntamento cruciale che, nella sua agenda, è fissato per il marzo 2011: le elezioni anticipate. Il presidente delle Generali strappa una vittoria finanziaria, in vista della mossa che, nella sua testa, chiuderà il "Risiko" dei Poteri Forti: la fusione Generali-Mediobanca.

Tra un appuntamento a Palazzo Chigi (dove dispone di un suo ufficio) e una colazione da Mario a via dè Fiori (dove pranza con gli ospiti di riguardo) lo spiega direttamente Luigi Bisignani, fiduciario di Gianni Letta e uomo di raccordo della filiera berlusconian-geronziana: "Voi continuate a mettermi in mezzo, ma con questi affari io non c'entro. Detto questo, mi pare che stiamo solo al primo passo: il prossimo sarà la grande fusione... ". La "grande fusione", appunto. Cioè il "merger" Mediobanca-Generali, di cui il Cavaliere di Arcore dichiara di non occuparsi e il Leone di Trieste giura di non sapere nulla. In realtà le cose stanno diversamente. E l'affondamento di Profumo è solo una tappa, in questo percorso di guerra. Unicredit è il primo azionista di Mediobanca, con l'8,6% del capitale. Qualunque operazione su Piazzetta Cuccia non si può fare, se non controlli il capo-azienda di Piazza Cordusio. Anche per questo è partito l'attacco a "Mister Arrogance". Ecco in che modo.

La partita politica. Come riassume un ministro che si è occupato in questi mesi della vicenda, "il destino di Profumo era segnato da un anno e mezzo, e lui era il primo a saperlo". In parte è così. L'amministratore delegato sapeva di avere ormai troppi nemici, dentro e fuori dalla banca. C'è chi sostiene addirittura che la sua fine sia stata decretata l'8 luglio, nella famosa cena a casa di Bruno Vespa, dove Berlusconi, seduto a fianco di Cesare Geronzi, avrebbe imposto al governatore della Banca d'Italia Draghi uno "scambio": io ti sostengo per la corsa alla Bce, tu non ti opponi al ribaltone in Unicredit. Ipotesi ardita. Forse fantasiosa. Sta di fatto che il ministro del Tesoro Tremonti, non invitato a quella cena, non ha gradito. E da quel momento, dopo aver bastonato per due anni le banche e i banchieri, ha curiosamente cominciato a difendere Profumo.

E sta di fatto che lo stesso Profumo, prima dell'estate, si è mosso con i libici, per cercare una sponda che gli desse manforte contro gli altri azionisti all'attacco, dalle Fondazioni delle Casse del Nord ai tedeschi dell'Allianz guidati dal presidente di Unicredit Dieter Rampl. Per questo all'inizio di agosto, alla vigilia della partenza per le ferie, lo stesso Profumo è andato in missione ad Arcore, a spiegare a Berlusconi il senso dell'ingresso dei libici nel capitale Unicredit. Dal suo punto di vista, i fondi sovrani del Colonnello Gheddafi dovevano essere il suo "cavaliere bianco". E invece si sono rivelati il "cavallo di Troia", che lo stesso Berlusconi, Bossi e Geronzi - attraverso Palenzona, Biasi e Rampl - hanno usato per sfondare le sue difese.

Il premier, in quell'occasione, ha dato ampie garanzie a Profumo: "Procedi pure con i libici". Ma è stata una pillola avvelenata. Nel frattempo il suo affarista di fiducia per l'area Sud del Mediterraneo, Tarak Ben Ammar, con la benedizione di Geronzi di cui è a sua volta amico personale, ha trattato direttamente con Gheddafi i termini del suo impegno in Unicredit. Un impegno che doveva servire da alibi, per lanciare l'offensiva contro Profumo, ancora una volta all'insegna (pretestuosa) della difesa dell'"italianità" dei campioni nazionali. Il segnale che l'operazione libica stava prendendo una piega diversa da quella immaginata dall'amministratore delegato è arrivato un mese dopo. Il 25 agosto, al meeting di Cl a Rimini, proprio Geronzi si è lasciato andare a una frase sibillina: "Fin dai tempi di Capitalia, i libici sono stati i migliori soci che io abbia mai avuto". È parsa una dichiarazione distensiva verso l'aumento progressivo della partecipazione dei fondi di Tripoli in Unicredit. E invece è stata solo un'altra pillola avvelenata contro Profumo.

Lo si è capito pochi giorni più tardi, quando il 30 agosto il Colonnello è sbarcato a Roma, accolto con tutti gli onori dal presidente del Consiglio e dalla plaudente "business community" italiana. Tra il faccia a faccia a Palazzo Chigi e la cena alla caserma Salvo D'Acquisto, Gheddafi e Berlusconi hanno parlato dell'affare Unicredit. Subito dopo, Geronzi si è recato a Palazzo Grazioli, è ha messo a punto insieme al Cavaliere il piano d'attacco a Profumo. Un piano in tre mosse. Prima mossa: allarme mediatico per la "scalata libica", lanciato ai primi di settembre dalla Lega, che ha costretto la Consob e la Banca d'Italia a chiedere chiarimenti a Profumo. Seconda mossa: attacco mediatico dalla Germania, con la "Suddeutsche Zeitung irritata per "l'arroganza" del ceo. Terza mossa: convocazione di un consiglio straordinario da parte dei "grandi azionisti", per ridiscutere l'operato del management. È esattamente quello che è accaduto in queste tre settimane, e che ha portato l'amministratore delegato alla resa finale.

La vittoria politica di Berlusconi si può riassumere così. In uno scenario che precipita palesemente verso le elezioni anticipate, il premier sistema la partita strategica di Unicredit, si libera di un manager troppo autonomo dal Palazzo, e in un colpo solo rinsalda il suo patto di ferro con Umberto Bossi, sigla una tregua con il governatore di Bankitalia Draghi, e ridimensiona le velleità politiche del suo ministro-antagonista Tremonti. Sembra fantascienza. Ma forse non lo è affatto. Lo prova, paradossalmente, la sobrietà con la quale lo stato maggiore del Carroccio festeggia le dimissioni di Profumo. Lo prova, allo stesso modo, la battaglia non proprio campale che Via Nazionale ha condotto per difendere la governance della prima banca italiana. Lo prova, infine, l'ultima battuta di Tarak, all'uscita della riunione del patto Mediobanca di ieri: "I libici irritati per quello che è successo a Unicredit? Non credo affatto...". Per molte ragioni, la sconfitta di "Mister Arrogance" ha accontentato diverse casematte del potere, politico ed economico.

La partita finanziaria. Se il premier su Unicredit ha giocato dunque la sua partita politica, Geronzi su Profumo ha giocato la sua partita finanziaria. E lo ha fatto con l'obiettivo raccontato da Bisignani. Espugnare la fortezza di Piazza Cordusio, per poi coronare il progetto che si porta dietro dalla scorsa primavera, da quando cioè ha traslocato dal vertice di Mediobanca alla presidenza delle Generali: fondere Piazzetta Cuccia con il Leone di Trieste. E così ridefinire una volta per tutte, a suo vantaggio, gli equilibri del capitalismo italiano. Da maggio scorso, a dispetto di una governance che formalmente assegna allo stesso Geronzi poche deleghe in Generali, lasciando a Mediobanca il controllo delle partecipazioni strategiche come Rcs, Telecom e le banche, il nuovo Cesare del capitalismo italiano ha ingaggiato una guerra senza quartiere con i due "alani" rimasti a Piazzetta Cuccia. Lo ripete lo stesso Bisignani, senza farne mistero: "Con Renato Pagliaro e Alberto Naghel gli scontri sono continui...".

Geronzi si sta smarcando sempre di più, dall'orbita Mediobanca. E lo fa non per lasciare all'Istituto che fu di Enrico Cuccia la sua piena autonomia, ma per raggiungere il risultato contrario: cioè tornare a comandare anche lì. Con l'operazione di "reverse merger" di cui si parla da tempo, e che "Repubblica" ha anticipato nella primavera scorsa, e che ora lo stesso Bisignani conferma. Un'operazione che, secondo fonti di mercato, coinvolgerebbe persino la Mediolanum, di cui il premier vuole disfarsi, perché non sa cosa farne, e che lo stesso Geronzi sarebbe pronto ad accollarsi, per rendergli l'ennesimo favore. Sembra fantascienza, anche questa. Domani fioccheranno smentite. Ma anche fino alla scorsa primavera il banchiere di Marino aveva smentito il suo progetto di trasferirsi in Generali. Sappiamo poi com'è andata a finire.

Al fondo, resta l'immagine di un capitalismo ancora una volta provinciale, asfittico, autoreferenziale, etero-diretto dalla politica. In questa ultima grande partita del potere italiano non ha perso Profumo, uno dei pochi grandi banchieri di caratura internazionale in questo sciagurato paese. Ha perso l'intera, sedicente "élite" della solita, piccola, Italietta.

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22/09/2010 20:20
 
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Sì... tutto quello che volete ... ma alla fine... 40 milioni di Euro!!!! Mah!






Nolite conformari huic saeculo sed reformamini in novitate sensus vestri.
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22/09/2010 22:59
 
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e se non li dai a profumo a chi li devi dare questi soldi? ai calciatori?

speriamo che profumo non si lanci nella rifondazione del pd.. almeno per la sua credibilità.
certo che lo stile enrico cuccia in questo paese paga..


faccio notare che la lega riesce a giocare di sponda tra tremonti e berlusconi che è un piacere..
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