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Un vuoto nella democrazia

Ultimo Aggiornamento: 11/05/2010 15:37
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Un vuoto nella democrazia





di Norma Ferrara - 11 maggio 2010
Scalettari: nelle carte della Commissione d'inchiesta la verità sul caso Alpi.



Mancano sette giorni alle elezioni che cambieranno il destino politico dell’Italia, già scossa da Tangentopoli e dalle bombe della mafia. Siamo nel 1994, ed è il 20 marzo. Mentre in Italia i Tg trasmettono le immagini degli ultimi giorni della cosiddetta Prima Repubblica, due giornalisti inviati in Somalia, a Mogadiscio, raccontano il ritiro del contingente italiano, dopo la fine della missione Restore Hope. Sono Ilaria Alpi (Tg3) e Miran Hrovatin (cameraman). Nei giorni precedenti i due inviati si sono recati nel nord del Paese, non sappiamo ancora cosa sono andati a fare, chi hanno incontrato e perché. Quello che sappiamo è che quel 20 marzo del '94 un commando attenderà il loro rientro a Mogadiscio, per ucciderli. Remigio Benni, il giornalista Ansa che darà per primo la notizia intorno alle 14:40, in uno dei lanci di agenzia, raccoglierà subito una verità “Somalia: giornalisti italiani uccisi, un’esecuzione”. Di questo si è trattato, secondo i primi testimoni accorsi sul posto, di una esecuzione, come si fa per i giornalisti che hanno in mano notizie che qualcuno non vuole vengano consegnate all'opinione pubblica. Eppure sedici anni di indagini e una Commissione parlamentare d’inchiesta non sono bastati a trovare colpevoli e mandanti di questo duplice omicidio. Un’inchiesta avvolta nella fitta nebbia delle informazioni negate sui misteri della cooperazione italiana in Somalia e sui traffici di rifiuti tossici e di armi. Questo traffico era infatti oggetto dell’ultima inchiesta Alpi – Hrovatin, che aveva scoperto, con molta probabilità, come in cambio di armi i signori della guerra concedessero terre per accogliere rifiuti tossici smaltiti illegalmente. Un traffico che coinvolgeva mafie internazionali, godeva della copertura e complicità di strutture di potere pubbliche e private. Del lavoro della Commissione d’inchiesta, della possibilità di riaprire le indagini su questo duplice delitto e del traffico internazionale di rifiuti, abbiamo parlato con Luciano Scalettari, giornalista e inviato di Famiglia Cristiana, per un breve periodo consulente della Commissione, profondo conoscitore del continente africano, fra i pochi giornalisti che hanno portato avanti l’inchiesta “che non si doveva fare” sulla strada dei misteri, la Garowe – Bosaaso.

E’ indirizzata al Presidente della Repubblica una raccolta di firme che chiede la riapertura delle indagini sul duplice delitto. Cosa è accaduto nella Commissione d'inchiesta che avrebbe dovuto fare luce sul caso?
La Commissione d'inchiesta su delitto di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin è stata una parentesi nella democrazia in questo Paese. Per le conclusioni cui è giunta ma soprattutto per le modalità con le quali ha operato. Dopo una prima fase nella quale sono state acquisite tutte le carte relative al caso Alpi, presenti in varie vicende processuali, si è avvalsa di strumenti che mai prima di quell'episodio erano stati utilizzati da una commissione. Si trattava di intercettazioni, perquisizioni di consulenti e giornalisti che si erano occupati del caso. In seguito, però, abbiamo saputo che per tutto questo serviva l'autorizzazione di un magistrato esterno. La commissione dunque ha operato come un ufficio che autorizzava se stesso, fuori controllo.

Quale fu l'atteggiamento delle diverse forze politiche presenti in relazione a questa anomalia?
Fu chiaro che il presidente Taormina aveva il compito di condurre la Commissione d'inchiesta a determinati esiti per cercare di mettere la parola fine a queste indagini sul duplice delitto. E non fu certamente una sorpresa che il centrodestra appoggiasse il suo operato. Quello che lasciò perplessi fu invece il ruolo che il centrosinistra ebbe nelle sessioni di lavoro, in cui garantì di procedere all'unanimità attraverso il voto positivo (ancora oggi si trova tutto nei verbali delle sedute). Solo successivamente, durante la relazione finale del presidente Taormina, fece una strenua opposizione e produsse una relazione di minoranza, la terza, dopo quella della maggioranza e del deputato dei Verdi, Mauro Bulgarella. Atteggiamento strano che si può riscontrare anche successivamente, durante il Governo Prodi durato un anno e mezzo, in cui c'era la possibilità di ricostituire una Commissione Alpi bis, proposta da alcuni membri dell'ex Commissione fra i quali Bulgarella. Ritardi burocratici non la fecero nascere prima della fine della Legislatura, nonostante fosse già all'epoca chiaro a tutti, che si trattava dell'ultima possibilità per riaprire l'archivio della Commissione e scrivere la verità sulla morte di Ilaria e Miran. Invece, accadde che il centrodestra approvò una relazione che non lesse, perché, se l'avesse fatto, avrebbe dovuto almeno scegliere se votare a favore o astenersi. Il centrosinistra, pur prendendone le distanze, permise che i lavori procedessero - come ha dichiarato più volte il presidente Taormina - “all'unanimità”, senza segnalare anomalie e distorsioni che portarono poi a quelle conclusioni, note oramai a tutti.

I documenti acquisiti portavano in una direzione: l'esecuzione di due giornalisti che avevano indagato su un traffico di rifiuti tossici fra Italia e Somalia negli anni novanta. Le conclusioni della Commissione furono però radicalmente opposte. Perché?
Sono stati inizialmente raccolti una mole consistente di documenti (anche se non sono mai stati acquisiti né i fascicoli che riguardano il caso del colonnello Vincenzo Li Causi, morto in Somalia in circostanze misteriose nel novembre del 1993, né quelli del delitto Rostagno, e altri). I lavori si sono avvalsi di strumenti inutilizzabili, come già detto, e sono state seguite molteplici piste, alcune palesemente in contrasto con i dati già in possesso sulla situazione politica della Somalia. Dopo aver cercato il movente e aver indagato, apparentemente, sulla Cooperazione e il traffico di rifiuti, ci si è soffermò a lungo sul movente legato al fondamentalismo islamico. Peccato che dal '92 al '93, proprio in Somalia, il fondamentalismo fosse stato quasi azzerato, sconfitto militarmente da Abdullah Yossuf. Gli estremisti fuggirono in Etiopia. Lì si sono poi ricostituiti ed oggi sono tornati attivi, ma in quegli anni, è fatto ampiamente documentato e noto, che non avessero alcuna forza sul territorio.

A quanto pare non per la Commissione Taormina?
No, infatti. Ma quello che accaduto è andato oltre l'immaginabile. Sono stati impiegati mesi preziosi sulle tracce del fondamentalismo islamico, nonostante le evidenti impossibilità di coinvolgimento nel delitto. E per avvalorare questa tesi, in Commissione, un agente del Sismi testimoniò anche il falso. Noi abbiamo sentito un agente, tutt'ora in servizio, dichiarare che in quei mesi, nelle bancarelle di Mogadiscio, circolavano videocassette in cui si vedevano persone con "la mano tagliata", tanto era diffuso il fondamentalismo islamico in città. Chiunque abbia un po' di conoscenza della storie somale sa che quelle affermazioni non corrispondono a realtà e creano un certo imbarazzo, perché a raccontare questo è stato un uomo dei servizi segreti italiani, al quale non è concesso di confondere Paesi, anni o situazioni a rischio. Eppure lui ha potuto dire queste cose in Commissione senza finire sotto inchiesta. Mentre sotto inchiesta sono finiti molti altri che di questi traffici di rifiuti e armi si sono occupati. Di fronte a queste affermazioni, ricordo, che qualche deputato del centrosinistra ebbe un'immediata reazione e chiese all'agente spiegazioni di come, se la situazione all'epoca dei fatti fosse cosi grave, non risultasse alcuna informativa del Sismi in merito a questo pericolo cui erano esposti i connazionali presenti in Somalia.

Dopo questa fase, le conclusioni parlano di un "rapimento finito male" di due giornalisti in “vacanza” in Somalia. Come si arriverà a queste conclusioni che tanto hanno fatto discutere?
La svolta avvenne quando si palesò la scelta da parte del presidente, Carlo Taormina, di avere come testimone il faccendiere italiano residente da anni in Somalia, Giancarlo Marocchino. Marocchino è il primo ad arrivare sul luogo del delitto quel 20 marzo del '94, ed è lo stesso che, mesi prima, era stato espulso dagli americani poiché sospettato di traffici illeciti internazionali. Al faccendiere italiano la Commissione affida il compito di recuperare la "presunta" automobile in cui viaggiavano i giornalisti al momento dell'agguato. Marocchino inoltre indicherà anche i killer, grazie all'aiuto di altri cittadini somali che risulteranno essere "suoi" uomini di fiducia. La perizia balistica di recente ha dimostrato che il sangue presente su quell'auto non è di Ilaria e le immagini girate al momento dell'agguato ritraggono un pick - up differente da quello riportato in Italia. Da un certo momento in poi, la Commissione cercherà però di costruire questa pseudo verità, appoggiandosi a Marocchino e al suo avvocato, il dott. Menicacci. L’avvocato che ha un passato in Ordine nuovo e deputato MSI, poi uomo di collegamento fra la Lega nord, e le Leghe Meridionali, tant'è che risulta fra gli inquisiti nell'indagine "Sistemi criminali", archiviata, della Procura di Palermo, offre a Taormina tutti i documenti su cui la relazione si baserà. E, se un giorno si arrivasse alla desecretazione degli atti della Commissione, si potrebbe vedere che la maggior parte dei quegli atti, forniti da Menicacci, sono stati alla base della relazione di Taormina.

Ci sono atti ancora coperti da segreto e queste "discusse" conclusioni. Com'è possibile acquisire tutti gli atti e riprendere queste indagini?
Non è semplice, gli unici a poter intervenire sono il Presidente del Consiglio o le due Commissioni che stanno indagando, rispettivamente, su traffico di rifiuti e su organizzazioni mafiose, proprio perché dietro ci sono reati di mafia e traffici illeciti di rifiuti. Infine, solo un'altra Commissione Alpi potrebbe riprendere le fila di quel lavoro e, sulla base dei documenti, scrivere la verità che non è stata ancora scritta sulle motivazioni di quel duplice delitto a Mogadiscio.


La politica continua ad avere un atteggiamento ambiguo al riguardo. Era a conoscenza o copriva questi traffici?
Saremmo certi che la questione non stia in questi termini se vedessimo l'atto di desecretazione di questi atti, poiché è stato denunciato, in tanti modi e in momenti diversi, il fatto che lì dentro c'è la verità sul caso Alpi e altre verità importanti, e nonostante ciò quattro anni e mezzo non si riesce a riaprire l'inchiesta. Il dubbio che ci sia una volontà, non limitata alla maggioranza attuale ma un po' più ampia, di non procedere, è fortissimo. Rimangono comunque ferme dentro l'archivio della Commissione d'inchiesta una mole impressionate di documenti, inchieste, atti di Procure. Non solo. Al di là delle carte mai utilizzate, altre semplici verifiche non sono mai state effettuate.

Quali?
Ad esempio, non è mai stato fatto un lavoro comparato sulle carte bancomat e di credito e su tutto quello che risultava documentabile degli spostamenti di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, negli ultimi giorni di vita in Somalia. Non è mai stata fatta la perizia calligrafica sugli appunti, che in parte non sono di Ilaria. Poi c'è il mistero delle videocassette, arrivate solo in parte, e persino su queste non è stata mai fatta alcuna perizia. Molte non sono mai giunte, come quelle contenenti il resto della sua intervista al Sultano di Bosaaso (in cui il si parlava delle navi di proprietà dell'imprenditore Mugne, ndr) colloquio durato tre ore, di cui oggi possediamo invece solo 15 minuti.

Com'è stato possibile che qualcuno abbia manomesso e sottratto il materiale audiovisivo?
Le cassette arrivarono su un aereo insieme alle salme. All'arrivo in Italia si riscontrò subito un'anomalia: erano stati violati i sigilli che chiudevano i bagagli imbarcati a Mogadiscio. Alcune videocassette scomparirono già lì. La valigia contenente questi video la portò via la Rai con l'intento di montare al Tg3 un servizio con le ultime immagini girate dai due giornalisti in Somalia. (Le videocassette rimarranno ferme alla Rai e poi ritorneranno agli inquirenti, ma non si sa chi può aver avuto accesso ai video in quel lasso di tempo e quindi manomesso i materiali).

Da giornalista che ha seguito questo caso, che idea si è fatto sull'inchiesta e le informazioni in possesso di Ilaria Alpi?
Quel servizio che con altissima probabilità Ilaria e Miran avrebbero inviato a Roma la sera che sono stati uccisi, poteva diventare il primo di una serie di servizi capaci di creare uno scandalo di dimensioni internazionali, proprio a cavallo delle elezioni del 27 marzo del 1994, incidendo fortemente sugli equilibri politici. L'inchiesta dei due giornalisti raccontava una storia di traffico d'armi e rifiuti che coinvolgeva figure somale e italiane e varie istituzioni che hanno coperto questi traffici e consentito che andassero avanti per ragioni di opportunità politica. Le cose che Ilaria Alpi sapeva, e ci sono tutte le argomentazioni per dimostrare che sapesse, sono più che sufficienti per considerare che quell'ultimo viaggio in Somalia fosse utile per andare a recuperare gli elementi necessari per raccontare che, all'ombra di una brutta Cooperazione, si faceva business sullo scambio di rifiuti e armi. Il problema è che quel servizio avrebbe messo in evidenza il ruolo ricoperto da pezzi di nostre istituzioni, evidenziando la componente politica che forniva copertura a quei traffici, il Psi, partito che proprio in quella fase stava trasmigrando in massa dentro una nuova coalizione, Forza Italia, dopo il 1994 passata alla guida del Paese. Forse perché ben indirizzata da una fonte, Ilaria aveva acquisito prove che andavano a toccare alcuni nervi scoperti della politica italiana che stava per fare la svolta, per chiudere il capitolo del "caos" degli ultimi anni. Da Mani pulite, all'ascesa della Lega, dal rischio di un colpo di Stato nel'93, sino alle bombe della mafia. Così, nel momento in cui sembrava che si andasse a suggellare un nuovo equilibrio, sarebbe andato in onda sul servizio pubblico un'inchiesta che raccontava come, anche con la collaborazione della mafia, figure di Gladio, imprenditori e uomini politici italiani si erano interrati rifiuti e vendute armi, in Somalia. E, dettaglio da non trascurare, era un servizio pubblico radiotelevisivo come la RAI a trasmettere quel servizio.

Prima ha parlato di una fonte che avrebbe indirizzato Ilaria verso questa inchiesta? di chi si tratta?
E' probabile, per quel che risulta dai documenti, che Ilaria Alpi, pur non essendo una giornalista prettamente d'inchiesta, fosse giunta ad avere informazioni precise attraverso un uomo del Sismi, Vincenzo Li Causi, morto in circostanze non chiarite nel novembre del 1993. Li Causi, per i ruoli che aveva, per i segreti che custodiva sulle operazioni speciali che aveva fatto in precedenza, era in grado di informare Ilaria Alpi su questi traffici e dare gli elementi esatti su dove andare a cercare le prove e testimoni. A mio avviso, questo è quello che è accaduto.

Dall'omicidio Alpi - Hrovatin segue anche gli sviluppi di quell'inchiesta. Si è sei recato, insieme ad altri colleghi, in Somalia nel 2005 e nel 2007, trovando testimonianze importanti in merito. Escluderebbe che questo traffico di rifiuti e di armi stia ancora coinvolgendo il nostro Paese, le mafie internazionali e le coste della Somalia?
Ci sono dei dati che dicono, incontestabilmente, che i traffici di rifiuti continuano. Lo racconta in maniera eclatante anche l'ultimo rapporto Ecomafie sui rifiuti: sono note le cifre della produzione e quelle dello smaltimento legale; il gap fra la prima e il secondo rappresenta il traffico illecito, in Italia o all'estero. Quella quantità è stata quest'anno condensata in una cifra pari a migliaia di tonnellate, circa una montagna di rifiuti che scompaiono dai percorsi regolari di smaltimento. Dire che oggi vada in Somalia non è facile perché non ci sono prove. Se io fossi un trafficante di rifiuti, in questo momento, li manderei in Somalia, perché la situazione è tale e quale alla situazione degli anni '90: non è cambiato nulla, è una nazione penetrabile, come si faceva allora, con corruzione o altre azioni. Sarei sorpreso, dunque, che ciò non stia accadendo.

xxx Meglio essere vittima che complice.xxx
http://www.studibiblici.it/conferenze.html

Schiavo di nessuno,Servo di tutti.
http://www.studibiblici.it/videoomelieindiretta.html
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