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Lu rusciu te lu mare - Allabua

Ultimo Aggiornamento: 15/08/2014 09:27
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12/08/2014 20:01
 
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Canto passoniale gallipolino, narra di un amore impossibile tra la figlia di un re ed un soldato, un amore impedito, in un periodo in cui le differenze di classe erano molto vive, tanto che l’autore le paragona al conflitto tra Turchi e Spagnoli, storici invasori della nostra terra.

L’anno in cui sembra che questa canzone fosse emersa come uno dei tanti canti popolari tipici della zona è il 1978, ad opera di Luigi Cardigliano, originario di Ugento (LE), un ragazzo che all’epoca si trovava a Firenze. Ed era proprio in questa città che per diversi anni, dal 1974 al 1980, in Piazza della SIgnoria o vicino al Palazzo degli Uffizi si creava una sorta di collettività etnica, costituita da persone di orgine pugliese, calabrese, siciliana e sarda. Si trattava di persone essenzialmente giovani che si trovavano lì per motivi di studio e che ogni sera, per tutta la notte fino all’alba, spinti dal desiderio dello svago notturno, si davano appuntamento nel solito punto.

Fu una specie di teatro che si venne a formare, dove ognuno apportava le proprie esperienze musicali: c’era colui che aveva talento per il canto, chi invee per la danza.

Fino ad oggi esistono tre verioni della canzone “U rusciu te lu mare“. Quella originale presena un ritmo piuttosto lento, fu Luigi Cardigliano a modificarla rendendola più ricca di accordi musicali e dandole un ritmo più cadenzato. Lo stesso Cardigliano, che cantava da solista questa canzone, aggiunse una strofa che poi divenne l’ultima. La particolarità di questa canzone, tipica tra l’altro di tutte le altre che sorsero e si diffusero in quel periodo, era l’assenza della musica. Ciò che creava un’armonia dei suoni era la polifonia delle voci: tre o quattro voci diverse che sovrapposte l’una all’altra davano vita ad una melodia sonora rara nella sua soavità. Non era utilizzato alcuno strumento.

È stato intorno al 1993-94 quando Bruno Spennato, di Melissano (LE), un amico di Cardigliano, si unì ad un gruppo alle prime armi denominato “Alla bua”, e incominiciò a cantare altre canzoni popolari non ancora ben note. Colse, così, l’occasione di proporre una terza versione de “U rusciu te lu mare“, dal ritmo ancora più veloce rispetto alla precedente, con il complemento di un’altra strofa, che concludeva la storia dei due amanti. La strofa diceva “U rusciu te lu mare è mutu forte, la fija te lu re si ta la morte“. La nuova strofa prese il posto dell’ultima, la quale a sua volta diventò la penultima.


Nu giurnu scei ‘ncaccia a li patuli
e ‘ntisi na cranonchiula cantare.

A una a una le sentia cantare
ca me pariane lu rusciu te lu mare.

Lu rusciu te lu mare è troppu forte
la fija te lu re si ta la morte.

Iddha si ta la morte e jeu la vita
la fija te lu re sta se marita.

Iddha sta se marita e jeu me ‘nzuru
la fija te li re porta nu fiuru.

Iddha porta nu fiuru e jeu na parma
la fija te lu re sta va ‘lla Spagna.

Iddha sta va la Spagna e jeu ‘n Turchia
la fija te lu re è a zita mia.

E vola vola vola vola vola
e vola vola vola palomba mia
ca jeu lu core meu te l’aggiu ddare
ca jeu lu core meu te l’aggiu ddare.



Il Rumore del Mare

Un giorno andai a caccia per le paludi
e udii una ranocchia gracidare.

A una a una le sentivo cantare
mi sembravano il frastuono del mare.

Il rumore del mare è troppo forte
la figlia del re si dà la morte.

Ella si dà la morte, ed io la vita
la figlia del re ora si marita.

Ella si marita e io mi sposo
la figlia del re porta un fiore.

Ella porta un fiore ed io una palma
la filgia del re parte in Spagna.

Ella parte in Spagna ed io un Turchia
la figlia del re è la fidanzata mia.

E vola vola vola vola vola
e vola vola vola palomba mia
che io il cuore mio te le devo dare
che io il cuore mio te le devo dare
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