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Serve ancora a qualcosa l'Italia?

Ultimo Aggiornamento: 02/06/2013 17:59
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23/05/2013 20:35
 
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Galli della Loggia sta peggiorando parecchio. La prima parte è solo uno spot al libro di Amato(ma è ovunque cazzo!) nella miglior tradizione della marchetta all'italiana.
La classe politica risorgimentale si ritrovò ad affrontare alcune delle sfide più difficili mai viste da politici di ogni tempo, ad alcune seppe dare risposte - risanamento finanziario, sradicamento di malattie come il colera e la pellagra, l'allargamento relativamente rapido della base elettorale- ad altre invece no e questa incapacità la indusse a quell'avventurismo insensato che pose le basi della sua distruzione.

Prendiamo le avventure coloniali che all'epoca erano lo status symbol della potenza: gli altri paesi europei conquistavano colonie per ottenere risorse, manodopera a basso costo e mercati di sbocco, noi invece andavamo a cercare il posto al sole e il prestigio perduto.
Così ci avventurammo in paesi desertici e sperduti come la Somalia e l'Etiopia che avevano una rilevanza strategica pari a zero assoluto, ma siccome gli italiani le cazzate devono farle sempre scientifiche riuscimmo anche a rimediare una gigantesca figura di merda facendoci sconfiggere dall'esercito etiope nella battaglia di Adua, uno dei punti più bassi di sempre con tutto il mondo che rise a crepapelle di noi.
Un'umiliazione tanto cocente che poi ci fu una rivolta popolare contro la classe dirigente fusasi con il disagio sociale che portò al primo governo militare(quello di Pelloux) ed ai tragici fatti di Milano con il generale Bava Beccaris che cannoneggiò i manifestanti in piazza, segnando plasticamente quella contrapposizione tra piazza e palazzo che dura ancora oggi.
La sfiducia del paese era tanto forte che dopo un decennio anche il povero Giolitti che di grilli per la testa non aveva ed al quale del prestigio importava meno di nulla si sentì in dovere di imbarsi nella guerra con la turchia con la conseguente spedizione in libia foriera di tanti disastri.
Dal punto di vista militare la guerra fu il solito fiasco prodotto di mancanza di organizzazione, preparazione e visione strategica dei nostri comandanti militari che sono formibabili fino a che non arrivano su un campo dii battaglia. Vincemmo uno scontro navale e si sbandierò a festa come fosse la vittoria di Nelson a Trafalgar.
Lo sbarco terrestre in libia fu un disastro e il nostro corpo di spedizione composto dalla spropositata cifra di 100.000 soldati(Giolitti aveva dato il doppio degli uomini per evitare figuracce) fu tenuto in scacco per anni dalle truppe turche ed arabe tra le quali si distinsero quelle comandate da Enver Bey.
Giolitti commentò con il solito realismo: "100.000 uomini e 30 generali non riescono a tener testa ad un tenente colonnello".
Naturalmente sulla stampa la campagna militare fu presentata come una marcia Napoleonica tra un D'annunzio esultante ed un Pascoli che salutava "la grande proletaria che finalmente si è mossa". Altra caratteristica che ci portiamo ancora oggi.
Per non dire che poi la pacificazione della libia costò altri 15 anni di campagna militare dove gli italiani brava gente misero in atto un genocidio ancora oggi negato con la solita ipocrisia.
Quella guerra fu anche una sciagura costituzionale dato che Giolitti violò l'articolo 5 dello statuto albertino e quel precedente creò le basi per l'entrata in guerra nel 1915 frutto di un colpo di stato preludio di quello del 1922 quando lo stato liberale cessò di esistere del tutto.


Anche in altri campi si fatica a capire la missione, ad esempio in economia l'italia pagò per i primi 40 anni unitari scelte molto poco razionali e quasi nessuno ricorda, soprattutto in questi tempi, che il primo sviluppo industriale italiano dell'inizio novecento fu possibile solo grazie all'arrivo dei banchieri tedeschi che nel 1894 a Milano fondarono la banca commerciale italiana(che di italiano aveva solo il nome) motore dello sviluppo dell'industria.


Galli della loggia ha invece ragione a dire che con la seconda guerra mondiale finisce l'idea delle nazione, della patria e di tutti quei valori che erano stati fascistizzati durante il ventennio. Fu così innanzitutto perché gran parte del popolo era contrario all'entrata in guerra e dopo l'intervento, realizzato nella vergognosa maniera che sappiamo, visse la guerra come un affare estraneo, quasi una questione privata del regime. Quando poi la pressione aumentò sotto l'incedere
delle sconfitte a raffica, i bombardamenti e le privazioni, fu naturale pensare che la caduta del fascismo fosse legata alla sconfitta militare alla quale di per sé gli italiani non davano grande importanza essendo un popolo sprovvisto di quei valori di onore del quale erano invece imbevuti fin troppo i giapponesi e tedeschi.
Per questo ci arrendemmo alla prima occasione utile, unconditional surrender, mentre i tedeschi e i giapponesi combatterono fino all'ultimo uomo.
Gli italiani fidavano sullo stellone ed alla fine ebbero anche ragione perché se si escludono le perdite territoriali, dolorose, all'Italia andò di lusso con le condizioni post belliche. Di fatti ne uscimmo indenni, anche per il mutato clima geostrategico e per l'abilità di De Gasperi e il conte Sforza.
Poi ci fu il boom, uno dei più rapidi processi di industrializzazione della storia, in venti anni l'italia paese da paese prevalentemente contadino a paese prevalentemente industriale. Secondo Galli questo sarebbe merito della politica, se si intende la politica industriale certamente incise.
Ma il ruolo della politica fu diverso da quello in cui lo si pensa, in quel quindicennio post bellico grazie alle politiche impostate da Einaudi ed i suoi allievi l'Italia visse il periodo più vicino a qualcosa di liberale, pochi si ricordano che la spesa pubblica fu tagliata(nel 1945 l'incidenza della spesa sul pil era al 48%, nel 1962 al 39%), cosa che accoppiata ad una tassazione bassa ed all'accumulo dei capitali provenienti dall'estero permise la liberazione delle energie imprenditoriali che portarono al boom. La stabilità delle finanze pubbliche ed il controllo dell'inflazione nonostante il periodo di forte espansione fecero della Lira
per un periodo la moneta più stabile d'europa. L'Italia era la germania del tempo.
Poi venne il 1963 e il varò del centrosinistra dell'Enel, l'Eni, la lobby delle partecipazioni statali e le politiche di spesa allegra, l'assistenzialismo, le politiche monetarie lasche, l'inflazione a due cifre e tutto quel troiaio che ha trasformato il paese in un bastione del socialismo reale in grado di resistere anche alla caduta del muro. La follia che ha mandato il paese a puttane.

Quindi per rispondere alla domanda direi di no, l'italia non ha più senso anche perché la nazione italiana di fatto non esiste nel senso moderno del termine.
Non c'è dubbio che la nazione italiana sia nata prima delle altre, ma non ha avuto la rigenerazione che invece è stata presente altrove nella nascita della modernità.
I francesi sono discendenti dei galli e dei Franchi, certo, ma la moderna nazione francese è nata alla fine del settecento con la rivolzione che da evento divisivo diventò patrimonio dell'intera nazione quando a Valmy i francesi di tutti gli orientamenti combatterono per respingere gli stranieri fondendo i valori rivoluzionari e patriottici in un solo spirito che ancora oggi è alla base dei valori della République.
Più o meno la stessa cosa si può dire della Gran Bretagna che vive attorno ai valori della Gloriosa Rivoluzione aggiornati via via, agli Usa la cui nazione è nata nella guerra di indipendenza, alla germania nata nel 1870 e poi rifondata nella repubblica federale, l'Olanda che nacque dalla rivoluzione agli spagnoli.

L'italia non ha avuto qualcosa di analogo. Non è stata una rinascita il risorgimento che fu un movimento di vertice al quale le masse furono indifferenti od ostili, sentimenti che hanno portato dentro lo stato unitario e che sono ben presenti ancora oggi dai leghisti ai nostalgici del regno delle due sicilie.
Non lo fu la resistenza che, per motivi diversi dal risorgimento, non diventò un movimento popolare nonostante le sceneggiate del 25 aprile dove sbucarono fuori dal nulla centinaia di migliaia di partigiani che non avevano visto un tedesco nemmeno di sbieco.
Di conseguenza non lo è stata la nascita della repubblica che dalla resistenza è nata.

Il nostro è un paese che ha vissuto di gloria riflessa di antenati troppo grandi e geni immensi, ma ora affidato ad un popolo che non è popolo è destinato ad una agonia e putrefazione. E se vi aspettate che questo andazzo sia spezzato dalla politica dei Lupi e delle Boldrini state propri freschi.
[Modificato da trixam 23/05/2013 20:44]
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