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Internet, reati e netiquette (una riflessione del Prof. Prisco)

Ultimo Aggiornamento: 17/05/2013 10:47
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09/05/2013 10:32
 
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C]Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Gentile Ilaria (che ringrazio, ricambiando il [SM=g2725290]) e gentili tutti, trascrivo la parte iniziale di un articolo di Beppe Severgnini, sul Corriere della Sera di ieri, 8 maggio 2013 (sul web lo trovate per intero). Mi sembra interessante per discutere in margine a quanto si è letto qui, in questa discussione. Aggiungo che anche Giuliano Amato, sullo stesso giornale e in un'amara intervista, ha lamentato di avere ricevuto (nelle note vicende di questi giorni (mancata elezione a possibile Presidente della Repubblica e mancata nomina a Presidente del Consiglio) che ormai il ceto politico è influenzato dai twitter, che - lui dice - è l'unica cosa che gli importi (cinquanta twitter servono ad affossare una persona). Aggiunge che la figlia, avvocato, sta vincendo molte cause per diffamazione e che si è passati "da un governo di professori a un parlamento di studenti fuori corso".
Dunque, Beppe Severgnini, L'educazione che serve ai giovani digitali
"I ragazzi creano una pagina Facebook dove coprono d'insulti un'insegnante. Lei lo scopre e denuncia il fatto. la polizia postale identifica gli autori, tutti minorenni. Le famiglie sono sbalordite: quante storie! Non la insultavano davvero, era solo su Internet. E' una piccola storia istruttiva, diffusa e preoccupante. Molti asulti sanno cos'è la vita e non hanno capito cos'è la Rete; tanti ragazzi, viceversa. Conoscono i meccanismi e la forza del web, ma non sanno valutare le cobseguenze delle proprie azioni. Diffamazione, molestie, ingiurie, minacce, stalking: sono vocaboli da codice penale, a sedici anni sembrano così distanti. Occorre una nuova educazione civica: e potrebbe funzionare, a parte di non chiamarla così. 'Educazione civica' sa di materia vecchia, di professori annoiati, di stanchezza all'ultima ora. Un tema importante demolito dalla pessima didattica. Educazione digitale? Meglio. Programma: come guidare un mezzo veloce, nuovo e magnifico, senza andare a sbattere."
Fin qui l'articolo, il resto potere leggerlo appunto in Rete. Non si tratta di censurare, come teme sullo stesso giornale, lo stesso giorno, un articolo dell'avvocato Caterina Malavenda: i reati off line sono gli stessi on line, come lei stessa ricorda. Il punto è la velocità del mezzo, che favorisce la mancanza di autocontrollo. E , a parte i reati, il punto è duque anche la netiquette, la buona educazione sul web: a volte, sembra che la facilità di postare sia un fatto di dita, non passi prma dal cervello. Aggiungo (rispetto a Severgnini) che trovo necessaria la buona educazione in Rete anche per gli adulti. A me per esempio dispiace sinceramente di avere ceduto talvolta alle provocazioni e al rintuzzamento delle offese che pure avevo ricevute. Quello che farò, se continuassi a stare qui, è ignorare completamente chi non si sa regolare. E mi chiedo infine se la moderazione non debba avvenire prima e non dopo il post. In ogni caso, mi sembra un bel tema, del quale vi chiederei di discutere
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09/05/2013 11:31
 
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Re: Internet, reati e netiquette


Credo che questa sua riflessione (bel tema davvero, molto attuale) meriti una discussione a parte (per gli altri, nasce da questa)
Perciò spero se non le dispiaccia se l'ho spostata in un topic ad hoc.

Su questo:

(pollastro), 09/05/2013 10:32:

C] A me per esempio dispiace sinceramente di avere ceduto talvolta alle provocazioni e al rintuzzamento delle offese che pure avevo ricevute. Quello che farò, se continuassi a stare qui, è ignorare completamente chi non si sa regolare. E mi chiedo infine se la moderazione non debba avvenire prima e non dopo il post. In ogni caso, mi sembra un bel tema, del quale vi chiederei di discutere



ha perfettamente ragione.

Per questo nel nostro "regolamento", a proposito della libertà di espressione, abbiamo cercato più che di scrivere una regola, di fare un invito, una riflessione, suggerendo delle linee guida per portare avanti correttamente una discussione, evitando toni che precludano il confronto.


Comunque, neanche a farlo apposta, stamattina ho letto quest'articolo di Gramellini sui rapporti tra comunicazione in rete, dialogo e (apparente) democrazia:

Mentana e il millepiedi
MASSIMO GRAMELLINI
Dopo l’ennesima sbornia di insulti, per lo più anonimi, persino un formidabile incassatore come Enrico Mentana ha abbandonato Twitter, nuovo giocattolino dei maschi influenti. Il meccanismo è implacabile: milioni di italiani atterriti dalla crisi hanno bisogno di capri espiatori su cui sfogare la loro paura tramutata in rabbia, e non li cercano fra i colpevoli di primo livello - finanzieri e alti burocrati dello Stato, volti muti e oscuri - ma fra i personaggi che vanno in tv, cioè politici e giornalisti: i Visibili. Con Twitter la tecnologia offre al popolo un modo per sfogarsi in tempo reale. La cattiveria contro Mentana che prima gridavi al televisore del tinello, sentendoti un frustrato che parlava da solo, adesso puoi spedirgliela direttamente sul telefonino: sai che il suo amor proprio ne soffrirà e ti consideri vendicato. È una società schizofrenica quella che da un lato ti illude di poter dialogare con Mentana e dall’altro ti preclude qualsiasi crescita nella scala sociale. Che ti regala brividi di onnipotenza sul telefonino, mentre nella vita reale ti ricorda di continuo che non conti nulla. Il Visibile, a sua volta, paga il proprio peccato di narcisismo con la vulnerabilità: è un bersaglio a cui non è consentito offendersi, perché se rifiuta il botta e risposta con chi lo insulta diventa subito un censore o uno snob.

L’equivoco che distruggerà la finta democrazia di Twitter è che ogni dialogo implica intimità e conoscenza reciproca. Mentana aveva 312.000 followers (seguaci). Ma nemmeno un millepiedi può imbastire un rapporto autentico con 312 mila telefonini.

[Modificato da OneOfTheesedays 09/05/2013 14:29]





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Usa la funzione "Cerca"! [SM=x43666] La Funzione "Cerca" è il miglior amico del forumista! Non abbandoniamola...[SM=g2725338]
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09/05/2013 12:33
 
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Il campo di battaglia della rete potrebbe offrire grandi opportunità se solo si avesse il coraggio di osare.

Per adesso attendo altri interventi e dopo dirò la mia
[Modificato da connormaclaud 09/05/2013 12:33]
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09/05/2013 14:26
 
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connor, su...
non fare il timido

[SM=x43813]



[Modificato da OneOfTheesedays 09/05/2013 14:28]





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Usa la funzione "Cerca"! [SM=x43666] La Funzione "Cerca" è il miglior amico del forumista! Non abbandoniamola...[SM=g2725338]
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09/05/2013 14:58
 
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Topic interessante. In tal senso credo sia necessaria una regolamentazione efficace di un mezzo (internet) potenzialmente alla portata di chiunque. Mi sfugge però il modo in cui sia possibile una regolamentazione a monte e non succedanea senza correre il rischio contemporaneamente di una eccessiva restrizione da un lato, e di un raggiro dall'altro. Tanto premesso e non avendo i mezzi per entrare nel merito, mi limito solo ad una osservazione: giusta la moderazione, ma che non si riduca in censura, perché sarebbe insopportabile.
Detto questo, la libertà di manifestazione del pensiero dovrebbe sussistere sempre, anche quando il pensiero è monosillabico (benché possa non incontrare il nostro piacere). La libertà di pensiero non può essere coartata da un aprioristico giudizio di merito, salvo che integri reato ed anche in questo caso l’applicazione di una misura preventiva è limitata alla reiterazione. Ma fuori dall’ambito penale, quello che qui vorrei sottolineare è la libertà di “dire” e pure di dire “stronzate”, assumendosene le conseguenze. Liberi anche di replicare, qualora il contenuto non sia gradito. Il tutto, a parere della scrivente, sarebbe preferibile che avvenisse in maniera civile, magari argomentando o chiedendo di argomentare; tenendo pur sempre presente che la civiltà e la capacità argomentativa non sono alla portata di tutti, piaccia o meno.

Per concludere, riporto una lettura interessante sul tema tratta da “Internazionale” di qualche anno fa.

Internet sta trasformando la scrittura in conversazione. Vent’anni fa gli scrittori scrivevano e i lettori leggevano. Oggi invece i lettori possono rispondere, e lo fanno regolarmente sui forum e nei blog. Molti di quelli che rispondono non sono d’accordo. Bisogna aspettarselo: essere d’accordo è meno divertente che essere in disaccordo. E poi, quando uno è d’accordo, ha meno cose da dire. Si può aggiungere qualcosa a quello che ha detto l’autore, ma probabilmente le cose più interessanti le ha già dette tutte lui. Quando non si è d’accordo, invece, si entra in un territorio potenzialmente inesplorato. Ecco perché in giro c’è molto più disaccordo, soprattutto a parole. Non vuol dire che la gente si arrabbia di più: è solo che il nostro modo di comunicare ha subìto un cambiamento strutturale. Ma anche se non è la rabbia che fa aumentare il disaccordo, il rischio è che questo maggior disaccordo faccia arrabbiare di più le persone. Soprattutto online, dove è facile dire cose che non si direbbero mai di persona. Se è vero che saremo sempre meno d’accordo, dobbiamo stare attenti a farlo bene. Cosa vuol dire? La maggior parte dei lettori sa distinguere un semplice insulto da una contestazione ben argomentata. Credo però che possa essere utile individuare i livelli intermedi. Ecco quindi un abbozzo di gerarchia del disaccordo:
• Livello zero. Insulto
È la forma più bassa di disaccordo e probabilmente anche la più comune. Tutti abbiamo letto commenti come questo: 6 1 frocio!!!!!!!
Ma è importante rendersi conto che anche forme più articolate di insulto hanno la stessa inconsistenza. Per esempio:
L’autore è solo un semplice dilettante.
Questo commento non è altro che una versione pretenziosa di “6 1 frocio”.

• Livello uno. Attacco ad personam
L’attacco personale non è inconsistente come l’insulto. Per esempio, se un senatore scrive un articolo in cui dice che bisogna aumentare gli stipendi dei senatori, si potrebbe rispondere:
Certo che lo dice: è un senatore.
In questo modo non si contesta l’argomentazione dell’autore, ma si introduce un elemento almeno potenzialmente rilevante. Però è una forma ancora molto debole di disaccordo. Se c’è qualcosa di sbagliato nelle parole del senatore bisognerebbe dire cos’è. E se non c’è, che importanza ha se è un senatore? Dire che una persona non ha l’autorità necessaria per parlare di un argomento è una variante particolarmente sciocca dell’attacco ad personam, visto che spesso le buone idee vengono proprio dall’esterno. Il punto è se l’autore ha ragione o no. Se la sua mancanza di autorità gli ha fatto commettere degli errori, sono questi che vanno messi in evidenza. Altrimenti il problema non si pone.

• Livello due. Rispondere a tono
Da questo livello in poi si comincia a rispondere a ciò che è stato scritto più che a chi scrive. La forma più bassa consiste nel contestare il tono. Per esempio: Non riesco a credere che l’autore liquidi il disegno intelligente in modo tanto supponente.
Anche se preferibile all’attacco diretto, è comunque una forma di disaccordo piuttosto debole. È più importante capire se l’autore ha torto o ragione invece di soffermarsi sul tono. Soprattutto perché è un aspetto molto difficile da giudicare: chi ha la coda di paglia potrebbe sentirsi offeso da un tono che ad altri magari sembra del tutto neutro. Se il peggio che riuscite a dire di qualcosa consiste nel criticarne il tono, non state dicendo molto. È meglio un autore frivolo che dice cose giuste di uno serioso che però dice cose sbagliate. E se l’autore ha sbagliato da qualche parte, bisogna dire dove.
• Livello tre. Controargomentazione
A questo punto finalmente si comincia a rispondere a ciò che viene detto, invece che a chi e come. La forma più bassa di risposta a un’argomentazione consiste nel limitarsi ad affermare il suo contrario, senza preoccuparsi di dimostrarlo. Di solito va a braccetto con risposte del livello due, per esempio:
Non riesco a credere che l’autore liquidi il disegno intelligente in modo tanto supponente. Il disegno intelligente è una teoria scientifica del tutto legittima.
La controargomentazione può avere una certa consistenza. A volte affermare esplicitamente il contrario di quanto è stato detto basta a dimostrare chi ha torto e chi ha ragione. Ma di solito le prove aiutano.
• Livello quattro. Argomentazione
Al livello quattro arriviamo alla prima forma convincente di disaccordo: l’argomentazione. Le forme precedenti possono essere ignorate perché di solito non provano nulla. L’argomentazione, invece, prova qualcosa. Il problema è che è difficile dire esattamente cosa. L’argomentazione è la controargomentazione più il ragionamento e la prova. Quando è usata per mettere in discussione la questione principale, può essere convincente. Purtroppo, però, di solito non succede. Molto spesso due persone che discutono animatamente di qualcosa in realtà stanno parlando di due cose diverse. A volte sono addirittura d’accordo, ma sono così prese a litigare che non se ne rendono conto. Solo in un caso vale la pena soffermarsi su una cosa diversa da quella che ha detto l’autore: quando pensate che gli sia sfuggito il nocciolo della questione. Ma quando lo fate dovete dirlo esplicitamente.
• Livello cinque. Confutazione
La forma più convincente di disaccordo è la confutazione. È anche la più rara, perché è quella che richiede più fatica. In realtà, la scala del disaccordo è una specie di piramide: più si va in alto, meno casi si trovano. Per confutare qualcuno di solito bisogna citarlo. Bisogna trovare un passaggio in cui viene detto qualcosa che si ritiene inesatto e spiegare perché è sbagliato. Se non si riesce a individuare il passaggio preciso, si rischia di discutere inutilmente. La confutazione normalmente presuppone la citazione, ma la citazione non sempre implica la confutazione. Alcuni citano passaggi di argomentazioni su cui non sono d’accordo per dare l’impressione di una vera e propria confutazione, ma poi scadono in risposte del livello tre o addirittura zero.
• Livello sei. Centrare il punto
La forza di una confutazione dipende da quello che si confuta. La forma più efficace di disaccordo consiste nel confutare l’argomento centrale dell’interlocutore.
Anche al livello cinque a volte si può essere deliberatamente in malafede, per esempio quando ci si limita a criticare gli aspetti minori, come gli errori grammaticali o le piccole imprecisioni sui nomi o sui numeri. A meno che l’argomento non dipenda esattamente da queste cose, l’unico scopo è screditare l’avversario. In questo caso abbiamo una forma più sofisticata di attacco ad personam più che una vera confutazione. Per confutare davvero qualcuno è necessario concentrarsi sul nocciolo della questione. Una confutazione efficace si svolge all’incirca così:
La tesi principale dell’autore sembra essere X. Per esempio, quando dice: (citazione)
Ma è sbagliato per questi motivi…
La citazione che si ritiene sbagliata non deve necessariamente essere un’affermazione precisa dell’autore o la sua tesi centrale. È sufficiente confutare qualcosa su cui questa si fonda.
Adesso abbiamo un modo per classificare le forme di disaccordo. A che serve? La gerarchia del disaccordo si limita a descrivere la forma di un’affermazione, ma non ci dice se è corretta né come determinare il vincitore. Una risposta di tipo sei potrebbe comunque essere completamente sbagliata. Questa scala non fissa il limite minimo di persuasività di una replica, però ne indica il limite massimo: una risposta di tipo sei può non essere convincente, ma una risposta di tipo due o inferiore non lo sarà sicuramente mai.
Il vantaggio più evidente di classificare le forme di disaccordo è che aiuta a valutare quello che leggiamo. In particolare, aiuta a smascherare le argomentazioni fatte in malafede. Uno scrittore dotato di particolare eloquenza può dare l’impressione di sconfiggere l’avversario semplicemente usando parole forti. È la caratteristica tipica di ogni demagogo.
Attribuendo un nome alle varie forme di disaccordo, abbiamo dato al lettore critico un ago per far scoppiare tutti questi palloncini. Inoltre queste definizioni possono essere d’aiuto anche a chi scrive. Spesso la disonestà intellettuale non è voluta. Chi critica il tono di un’affermazione con cui è in disaccordo magari crede davvero di dire qualcosa.
Fare un passo indietro e vedere dove ci collochiamo sulla scala del disaccordo può aiutarci a passare all’argomentazione o alla confutazione. Ma il più grande vantaggio di imparare a essere in disaccordo è che migliora non solo la conversazione, ma anche l’umore delle persone che stanno partecipando alla discussione. Studiando le conversazioni, ci si rende conto che il livello zero contiene molta più cattiveria del livello sei.
Non serve essere meschini quando si ha veramente qualcosa da dire. La cattiveria a quel punto diventa solo un ostacolo. Salire ai livelli più alti della scala del disaccordo rende le persone meno cattive, e quindi più felici. La maggior parte delle persone non si diverte a essere maleducata. Lo fa perché non può farne a meno.

Paul Graham è un imprenditore e saggista britannico. Nel 2002 ha creato un algoritmo che ha ispirato i filtri antispam. Vive negli Stati Uniti. Questo articolo è uscito sul suo blog con il titolo How to disagree.
[Modificato da fridafrida 09/05/2013 15:15]



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Verweile doch! Du bist so schön!
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09/05/2013 16:14
 
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Per il passato mi lasciavo maggiormente coinvolgere in "animate discussioni". Anche su giuristi. Poi mi sono reso sempre più conto che spesso si cade solo preda di un furore incontrollato o, in ogni caso, di un poco salutare malanimo. Cos'è? Amor proprio? Orgoglio? Delirio? Non so. So solo che il mezzo può essere assolutamente pericoloso. E non credo che ci siano rimedi. Non ce ne sono se non nei termini di un deciso autocontrollo. Il mezzo crea una situazione, a mio avviso, dove non siamo del tutto sinceri. Lo schermo del computer, la lontananza, lo schermo dei finti nomi, tutto congiura ad un sovrappiù di "sfrenatezza". Il mezzo ci consente, paradossalmente, di coniugare il momento della meditazione della parola scritta, con la sfrenatezza irrazionale della folla. Inoltre, proprio la parola scritta, con la sua caratteristica "assertiva", ci precipita spesso nella fascinazione della "certezza" del nostro pensiero, dei nostri convincimenti, ricondotti al valore di granitici dogmi, riducendo le possibilità di un contraddittorio costruttivo. La rete può trasformarsi, a mio avviso, nel luogo del "non dialogo". E, quindi, di una guerriglia continua. In un mondo sempre più "frantumato" (e non semplicemente "plurale") la rete può rappresentare lo sfogo di tutte le frustrazioni. E trasformarsi da mare aperto, dove navigare con la fiducia e il piacere della conoscenza, in sentina di abbrutimento.
[Modificato da maximilian1983 09/05/2013 16:16]






Nolite conformari huic saeculo sed reformamini in novitate sensus vestri.
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09/05/2013 17:02
 
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Citando l' articolo postato da frida, posso dire che quest' ultima risposta ha centrato perfettamente il punto.
Quindi io sarò meno divertente e avrò meno cose da dire ("essere d’accordo è meno divertente che essere in disaccordo. E poi, quando uno è d’accordo, ha meno cose da dire").
Dalla mia breve esperienza su questo forum posso dire che raramente ho letto risposte che arrivino al livello sei. Quasi mai nessuno ci arriva.
Tutti scriviamo le nostre opinioni, i nostri pensieri, e giocoforza attireremo dei commenti positivi o negativi. Questo è ovvio.
Purtroppo, spesso non ci si limita a controbattere tenendoci in alto nella scala di valori qui esposta, ma restando ai livelli, se siamo fortunati, tre, due, o più in basso ancora.
Un' altra cosa che riscontro è che non tutti comprendono bene il concetto di "rete". Si potrebbe argomentare benissimo e articolando perfettamente, ma a volte non è il "sapere o non sapere" fare questo che ci blocca ma è semplicemente la volontà di farlo. In parole povere, un forum, Facebook, Twitter, non sono i luoghi adatti, a mio parere, per esprimere tutto il proprio potenziale. Spesso si lanciano due o tre frasi non articolate perfettamente perchè la rete non è l' agorà (nel senso letterale del termine) dove poter discutere ampiamente di qualcosa. Questo mancanza di articolazione in ciò che leggiamo, quindi, non deve farci trarre giudizi affrettati (di livello uno o zero) verso qualcuno. Purtroppo troppo spesso ci si lascia andare in giudizi simili, e nessuno ne è immune.
Detto questo, anch' io non sono favorevole verso una censura a monte, preventiva. Sarebbe come vivere nel film Minority Report.
La netiquette è importante per questo, per regolamentare ciò che si scrive e si afferma su internet, quindi è qualcosa che ognuno di noi dovrebbe rispettare prima di premere il bottone "invio". Se si seguissero poche regole di "buona creanza" non si parlerebbe nemmeno più di censura. Se poi si dovesse entrare nell' ambito penale esistono delle leggi apposite.
Per quanto riguarda me, credo (e spero) di non essere mai stato offensivo verso qualcuno. E' vero, mi piace giocare ed essere ironico (come lo sono con cosentino, ma credo che lui l' abbia capito), ma cerco sempre di non cadere in basso. A volte ho dei pensieri anche molto cattivi quando leggo certe cose, a volte mi sono sentito offeso (per quanto mi possa offendere il giudizio di uno sconosciuto), ma la mia personale netiquette m' impedisce di scrivere tutto ciò che penso. Mi sembra che questo non tutti lo facciano.
[Modificato da George.Stobbart 09/05/2013 17:04]
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09/05/2013 18:49
 
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Re:
OneOfTheesedays, 09/05/2013 14:26:

connor, su...
non fare il timido

[SM=x43813]







figurati one, attendo il contributo altrui prima di fare la fine di giordano bruno [SM=g2725400]
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09/05/2013 19:06
 
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Due cose sugli articoli citati dal prof vanno dette.

L'articolo di Severgnini non mi sembra niente di rilevante come al solito con questo autore che è il simbolo di un certo modo di essere intellettuali in Italia dove per dirla con Montanelli tanti non hanno niente da dire ma lo dicono intensamente.

In Italia quando si verificano fatti che attirano l'attenzione mediatica si scatena un dibattito che inevitabilmente arriva al problema dell'educazione in stile "datemi l'educazione e solleverò il mondo" solo che il modo in cui intendono l'educazione mi sembra sempre stranamente vicino a come lo intendevano nella Cina di Mao,
periodo in cui si sono formati molti opinion maker italiani con il libretto rosso mandato a memoria come il corano nelle madrasse di peshawar.

Poi il dibattito passa ed i problemi restano.

L'intervista di Amato è abbastanza pietosa. Capisco l'amarezza di essere rimasti con un pugno di mosche in mano dopo aver sfiorato il quirinale e palazzo chigi ma quasi quasi sembra di sentir parlare Churchill del popolo ingrato che gli impedisce di fare il padre della patria. Per la verità Churchill era molto più umile di Amato
e dopo aver salvato il suo paese(e già che c'era la civiltà occidentale) si prese un sonoro calcio nel sedere alle elezioni post guerra e commentò con la sua signorilità dicendo: "il popolo ha tutto il diritto di cacciarmi, è per questo che abbiamo combattuto". Invece Amato sta lì a struggersi. Da volpe astuta la butta in caciara con la storia della mobilità sociale bloccata e mostrando sé stesso come esempio di self-made man, poi alla domanda sul furto del 1992 dai conti correnti fornisce un esempio di eleganza e di leadership dando la responsabilità a Giovanni Goria che è morto da venti anni e non può replicare.
Ma la mobilità sociale in Italia è bloccata per colpa di Twitter o perché gente come Amato è al governo di riffa o di raffa da 30 anni?
Amato non è proprio sfiorato dal dubbio che nessuno gli contesta le capacità(ne ha fin troppe) ma gli si contesta il modo in cui ha svolto le sue funzioni nei tanti incarichi che ha avuto con l'aggravante che quelli come lui non erano i leader ma i tecnici che materialmente traducevano in fatti le follie italiche. I burocrati del declino.

Sul tema il dibattito mi sembra molto italico barocco tipico di un paese dove si fa più attenzione al modo in cui si dice le cose che a quello che si dice, in Italia le cause per diffamazione sono lo sport più popolare dopo il calcio.

Naturalmente gli insulti, le minacce e le violenze verbali in genere vanno sanzionate.

Internet è un mezzo di cui abbiamo visto solo gli inizi, ha moltiplicato la possibilità di spazi espressivi, ma i contenuti per riempire questi spazi possono darli solo i cervelli umani.
Quando i cervelli funzionano Internet diventa uno spazio di intelligenza collettiva, quando non funzionano di stupidità collettiva.
In Italia si sta creando un rapporto perverso tra informazione, politica e social che mi sembra patetico. L''informazione non è mai stata in grado, per limiti propri o perché assoggettata ad interessi economici, di svolgere il compito di formare un'opinione pubblica matura di un paese occidentale.
In italia la stampa serve a creare zone di consenso che diventano poi tribù ed a questo è funzionale l'utilizzo del web come strumento tribale di legittimazione, si parla di un argomento e subito si va alla "rabbia del web", "mobilitazione del web" e via di questo passo utilizzando i social network come agit prop moderni. Dall'altra parte
i social network hanno una forza autonoma e diventano uno strumento dove gli indignati di professione trovano il proprio habitat naturale.
Tutto questo ha trovato una sponda politica in un movimento che ha sostituito la dittatura del proletariato con quella di Internet, il Politburo con la Casaleggio Associati, Carl Marx con Paolo Becchi, la russia con l'argentina, la lotta di classe con il vaffanculo.

Sinceramente non capisco come ci si possa lamentare del livello del dibattito sul web in un paese dove la maggioranza della popolazione non legge nemmeno un libro all'anno e non è che puoi dargli nemmeno troppo torto dato il livello italiano. Avete mai visto il reparto SAGGISTICA delle librerie italiane? Sono il simbolo della morte culturale del paese tra biografie di cantanti, calciatori, libri di Maria de Filippi o dei programmi di Cucina fino al manuale su come diventare persone di successo in 5 minuti o come allungarsi il pisello(best seller sicuro). Da gente che vive in un contesto del genere e che scrive dopo una giornata di lavoro noiosa, o dopo aver litigato con il vigile o con la ragazza che per rappresaglia si astiene dai suoi doveri non è che puoi aspettarti che in 140 caratteri ti faccia una recensione delle opere di Jean-Michel Basquiat o ti citi il pensiero di Bergson. In un paese culturalmente morto e
politicamente imbarbarito la piazza digitale dei social diventa lo sfogatoio naturale della nazione.
[Modificato da trixam 09/05/2013 19:12]
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Re:
George.Stobbart, 09/05/2013 17:02:

Citando l' articolo postato da frida, posso dire che quest' ultima risposta ha centrato perfettamente il punto.
Quindi io sarò meno divertente e avrò meno cose da dire ("essere d’accordo è meno divertente che essere in disaccordo. E poi, quando uno è d’accordo, ha meno cose da dire").
Dalla mia breve esperienza su questo forum posso dire che raramente ho letto risposte che arrivino al livello sei. Quasi mai nessuno ci arriva.
Tutti scriviamo le nostre opinioni, i nostri pensieri, e giocoforza attireremo dei commenti positivi o negativi. Questo è ovvio.
Purtroppo, spesso non ci si limita a controbattere tenendoci in alto nella scala di valori qui esposta, ma restando ai livelli, se siamo fortunati, tre, due, o più in basso ancora.
Un' altra cosa che riscontro è che non tutti comprendono bene il concetto di "rete". Si potrebbe argomentare benissimo e articolando perfettamente, ma a volte non è il "sapere o non sapere" fare questo che ci blocca ma è semplicemente la volontà di farlo. In parole povere, un forum, Facebook, Twitter, non sono i luoghi adatti, a mio parere, per esprimere tutto il proprio potenziale. Spesso si lanciano due o tre frasi non articolate perfettamente perchè la rete non è l' agorà (nel senso letterale del termine) dove poter discutere ampiamente di qualcosa. Questo mancanza di articolazione in ciò che leggiamo, quindi, non deve farci trarre giudizi affrettati (di livello uno o zero) verso qualcuno. Purtroppo troppo spesso ci si lascia andare in giudizi simili, e nessuno ne è immune.
Detto questo, anch' io non sono favorevole verso una censura a monte, preventiva. Sarebbe come vivere nel film Minority Report.
La netiquette è importante per questo, per regolamentare ciò che si scrive e si afferma su internet, quindi è qualcosa che ognuno di noi dovrebbe rispettare prima di premere il bottone "invio". Se si seguissero poche regole di "buona creanza" non si parlerebbe nemmeno più di censura. Se poi si dovesse entrare nell' ambito penale esistono delle leggi apposite.
Per quanto riguarda me, credo (e spero) di non essere mai stato offensivo verso qualcuno. E' vero, mi piace giocare ed essere ironico (come lo sono con cosentino, ma credo che lui l' abbia capito), ma cerco sempre di non cadere in basso. A volte ho dei pensieri anche molto cattivi quando leggo certe cose, a volte mi sono sentito offeso (per quanto mi possa offendere il giudizio di uno sconosciuto), ma la mia personale netiquette m' impedisce di scrivere tutto ciò che penso. Mi sembra che questo non tutti lo facciano.




Sono d'accordo con te, soprattutto perché trovo veramente riduttivo poter giudicare qualcuno sulla base di poche righe, su un argomento mirato, in un post algido...
Per la moderazione a priori sono veramente contraria. Talvolta ci si lascia prendere così la mano che, convinti di essere nella ragione, si finirebbe per incorrere in una censura e non mi sembra di certo una cosa bella.
E che si chiami netiquette o galateo la verità è che non bisognerebbe mai dimenticarsi di essere persone educate, per chi lo è anche dal vivo, ovviamente.
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09/05/2013 19:34
 
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Re:
trixam, 09/05/2013 19:06:

Due cose sugli articoli citati dal prof vanno dette.

L'articolo di Severgnini non mi sembra niente di rilevante come al solito con questo autore che è il simbolo di un certo modo di essere intellettuali in Italia dove per dirla con Montanelli tanti non hanno niente da dire ma lo dicono intensamente.

In Italia quando si verificano fatti che attirano l'attenzione mediatica si scatena un dibattito che inevitabilmente arriva al problema dell'educazione in stile "datemi l'educazione e solleverò il mondo" solo che il modo in cui intendono l'educazione mi sembra sempre stranamente vicino a come lo intendevano nella Cina di Mao,
periodo in cui si sono formati molti opinion maker italiani con il libretto rosso mandato a memoria come il corano nelle madrasse di peshawar.

Poi il dibattito passa ed i problemi restano.

L'intervista di Amato è abbastanza pietosa. Capisco l'amarezza di essere rimasti con un pugno di mosche in mano dopo aver sfiorato il quirinale e palazzo chigi ma quasi quasi sembra di sentir parlare Churchill del popolo ingrato che gli impedisce di fare il padre della patria. Per la verità Churchill era molto più umile di Amato
e dopo aver salvato il suo paese(e già che c'era la civiltà occidentale) si prese un sonoro calcio nel sedere alle elezioni post guerra e commentò con la sua signorilità dicendo: "il popolo ha tutto il diritto di cacciarmi, è per questo che abbiamo combattuto". Invece Amato sta lì a struggersi. Da volpe astuta la butta in caciara con la storia della mobilità sociale bloccata e mostrando sé stesso come esempio di self-made man, poi alla domanda sul furto del 1992 dai conti correnti fornisce un esempio di eleganza e di leadership dando la responsabilità a Giovanni Goria che è morto da venti anni e non può replicare.
Ma la mobilità sociale in Italia è bloccata per colpa di Twitter o perché gente come Amato è al governo di riffa o di raffa da 30 anni?
Amato non è proprio sfiorato dal dubbio che nessuno gli contesta le capacità(ne ha fin troppe) ma gli si contesta il modo in cui ha svolto le sue funzioni nei tanti incarichi che ha avuto con l'aggravante che quelli come lui non erano i leader ma i tecnici che materialmente traducevano in fatti le follie italiche. I burocrati del declino.

Sul tema il dibattito mi sembra molto italico barocco tipico di un paese dove si fa più attenzione al modo in cui si dice le cose che a quello che si dice, in Italia le cause per diffamazione sono lo sport più popolare dopo il calcio.

Naturalmente gli insulti, le minacce e le violenze verbali in genere vanno sanzionate.

Internet è un mezzo di cui abbiamo visto solo gli inizi, ha moltiplicato la possibilità di spazi espressivi, ma i contenuti per riempire questi spazi possono darli solo i cervelli umani.
Quando i cervelli funzionano Internet diventa uno spazio di intelligenza collettiva, quando non funzionano di stupidità collettiva.
In Italia si sta creando un rapporto perverso tra informazione, politica e social che mi sembra patetico. L''informazione non è mai stata in grado, per limiti propri o perché assoggettata ad interessi economici, di svolgere il compito di formare un'opinione pubblica matura di un paese occidentale.
In italia la stampa serve a creare zone di consenso che diventano poi tribù ed a questo è funzionale l'utilizzo del web come strumento tribale di legittimazione, si parla di un argomento e subito si va alla "rabbia del web", "mobilitazione del web" e via di questo passo utilizzando i social network come agit prop moderni. Dall'altra parte
i social network hanno una forza autonoma e diventano uno strumento dove gli indignati di professione trovano il proprio habitat naturale.
Tutto questo ha trovato una sponda politica in un movimento che ha sostituito la dittatura del proletariato con quella di Internet, il Politburo con la Casaleggio Associati, Carl Marx con Paolo Becchi, la russia con l'argentina, la lotta di classe con il vaffanculo.

Sinceramente non capisco come ci si possa lamentare del livello del dibattito sul web in un paese dove la maggioranza della popolazione non legge nemmeno un libro all'anno e non è che puoi dargli nemmeno troppo torto dato il livello italiano. Avete mai visto il reparto SAGGISTICA delle librerie italiane? Sono il simbolo della morte culturale del paese tra biografie di cantanti, calciatori, libri di Maria de Filippi o dei programmi di Cucina fino al manuale su come diventare persone di successo in 5 minuti o come allungarsi il pisello(best seller sicuro). Da gente che vive in un contesto del genere e che scrive dopo una giornata di lavoro noiosa, o dopo aver litigato con il vigile o con la ragazza che per rappresaglia si astiene dai suoi doveri non è che puoi aspettarti che in 140 caratteri ti faccia una recensione delle opere di Jean-Michel Basquiat o ti citi il pensiero di Bergson. In un paese culturalmente morto e
politicamente imbarbarito la piazza digitale dei social diventa lo sfogatoio naturale della nazione.



Grazie!
Hai avuto la pazienza e la meticolosità di scrivere tutto ciò che penso su qualunque argomento tu abbia trattato.
Sull'editoria italiana stendiamo un velo, spesso quanto un piumone, pietoso. I prezzi dei pochi libri decenti, che giungono all'attenzione dell'editore (e quindi vengono tradotti) solo anni dopo la loro uscita, sono vergognosi. Per il resto non mancheranno di propinarti qualunque scandalo "letterario" sia stato abortito. Dal romanzo al libro d'inchiesta.
Su Giuliano Amato che dire... avevo un peso sul cuore quando ho letto quello stralcio d'intervista che le tue parole mi ha decisamente rimosso. I responsabili di quanto sia accaduto in questi ultimi decenni continuano, senza vergogna alcuna, a prendersela con i frutti del loro stesso operato. Perché diciamoci la verità... chi ci ha resi così ignoranti? Ho spesso la sensazione di vivere in un mondo come quello di 1984, solo con più colori, tantissimi colori, così che l'apparenza ci accechi a tal punto da confondere i nostri carnefici con la fonte della luce.
Gramellini si è rivelato in altre precedenti uscite un giornalista di poco spessore.
[Modificato da Stephy89 09/05/2013 19:43]
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Bello l'articolo postato da Frida. Se c'è una cosa che non sopporto e trovo che inevitabilmente imbarbarisca qualsiasi discussione è partire con le generalizzazioni ("voi comunisti" "voi fascisti" "voi marziani siete sempre blabla") o peggio ancora non rispondere nel merito, ma limitarsi a criticare l'autore della opinione espressa ("chi sei tu per dirlo" "lo dice proprio lui che" "ma di chi stiamo parlando di uno che...") spesso prescindendo totalmente da essa.

Eppure sono atteggiamenti risparmiabilissimi che non aggiungono e non tolgono nulla alla propria argomentazione. Però spesso fanno spettacolo e strappano l'applauso e questo conta più di tutto.

Oppure ancora ci sono i complottologi (quelli che "eh ma perché tu credi che..., ma non sai che dietro a questo...") o, ancora, gli "storici" (quelli che fanno trattati che partono dalle guerre puniche per dimostrare che la tua opinione è sbagliata perché "non sai che..."); altre categorie con cui la discussione inevitabilmente deraglia.

Il problema è che la rete aumenta il narcisismo... i Quote o gli I like rendono anche le opinione delle "prostitute" che si devono rendere accattivanti per attirare più clienti.

E amplia ancora di più il meccanismo "followers" oppure "haters".


Non è (solo) un problema di educazione (per quanto la perniciosa "moda" del parlare "in faccia" a tutti costi è da parecchio che fa danni; rimpiango quasi l'ipocrita perbenismo dei nonni!), quanto di onestà intellettuale.






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Re @Trixam
In Italia si sta creando un rapporto perverso tra informazione, politica e social che mi sembra patetico. L''informazione non è mai stata in grado, per limiti propri o perché assoggettata ad interessi economici, di svolgere il compito di formare un'opinione pubblica matura di un paese occidentale.
In italia la stampa serve a creare zone di consenso che diventano poi tribù ed a questo è funzionale l'utilizzo del web come strumento tribale di legittimazione, si parla di un argomento e subito si va alla "rabbia del web", "mobilitazione del web" e via di questo passo utilizzando i social network come agit prop moderni. Dall'altra parte
i social network hanno una forza autonoma e diventano uno strumento dove gli indignati di professione trovano il proprio habitat naturale.

Perdonami il tuo discorso, che posso anche condividere, è territorialmente circoscritto. Io credo che quanto dici valga ovunque. In Italia come altrove. Non a caso abbiamo assistito a mobilitazioni web su scala internazionale, che hanno avuto la loro eco anche nel nostro paese. Interazione tra informazione, politica e social network non l’abbiamo certo creata noi, né solo da noi ha assunto sfumature particolari. Il presidente dei tuoi amati States ci ha fatto un’intera campagna elettorale col web. Noi importiamo solo idee che nascono altrove da questo punto di vista, né più né meno. Che poi da noi a sfruttare il fenomeno sia Casaleggio & co e che questo non ti piaccia poco importa, di certo non ne puoi fare un discorso di genere.
Poi scrivi: “in Italia la stampa serve a creare zone di consenso” ancora una volta come se fosse un isolato e caratteristico fenomeno tutto italiano. Per favore citami qualche mezzo di comunicazione che non funga da veicolo, ovunque, atto a creare consenso. La peculiarità tutta italiana invece l’abbiamo vissuta con Berlusconi, ma non ho certo bisogno di ricordarti io i come e i perché.
Sinceramente non capisco come ci si possa lamentare del livello del dibattito sul web in un paese dove la maggioranza della popolazione non legge nemmeno un libro all'anno e non è che puoi dargli nemmeno troppo torto dato il livello italiano.
Guarda Trixam, qualche giorno fa ho letto una frase scritta da uno dei moderatori, a memoria mi pare di ricordare che fosse Oneoftheesedays, dove chiariva che sono le persone a determinare il livello di qualsivoglia conversazione. Questo sia de visu che dietro un monitor. Ma resta pur sempre un discorso generale, che abbraccia qualsivoglia utenza, senza distinzioni territoriali.

Per concludere, il reparto saggistica delle librerie tende a fornirti il prodotto più commerciale, di sicura vendita. Spetta poi al singolo saper scegliere in sintonia con le proprie aspettative. Ma questo non accade solo oggi, è da sempre così. Io che per esempio sono una cultrice di buona musica, con quello che propongono le case discografiche, starei fresca. Perciò mi informo, vaglio, ricerco, e poi scelgo.
Questo per dire che internet è uno strumento formidabile di divulgazione, in Italia come altrove per chi sa comprendere, capire, scegliere ma che proprio perché così vasto e non circoscritto ad una ristretta élite paradossalmente si porta dietro anche tanta schifezza.
[Modificato da fridafrida 09/05/2013 21:56]



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09/05/2013 22:21
 
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Mettiamo un pò di carne a fuoco prima che riprenda il film - taken su canale 5,consigliato- :cos'è internet?








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Re:
connormaclaud, 09/05/2013 22:21:

Mettiamo un pò di carne a fuoco prima che riprenda il film - taken su canale 5,consigliato- :cos'è internet?



Internet è quello strumento che ci ha lasciati conoscere come zia e nipote... [SM=g2725400] .. A parte il cazzeggio, comincia tu Connor a spiegare cosa sia internet o cosa sia per te, senza temere la fine di Giordano Bruno.



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thread saltato [SM=g2725362]
[Modificato da connormaclaud 10/05/2013 08:36]
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Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Un ulteriore e interessante contributo al dibattito, uscito stamattina

"Che errore censurare le tribù incivili del web"
di Bruno Giurato, Il Giornale, venerdì 10. 5. 2013

Meno Ethos e più Eros. Per Michel Maffesoli, l’uomo contemporaneo ha ormai sostituito le gerarchie del pensiero con l’affettività. Al modello del pensatore, del condottiero, del politico, dell’Eroe, si è sostituito il modello del Puer Aeternus, l’eterno fanciullo, in cerca non tanto di regole, quanto di una socialità empatica, di affettività a portata di mano, di piacere. Il che, secondo Maffesoli non è necessariamente un male, ma una condizione ormai irreversibile. Dal punto di vista sociologico invece, cadute ideologie e gerarchie, il rifugio contemporaneo sono le tribù: piccole aggregazioni che si comportano e agiscono più o meno come quelle antiche. Insomma, Maffesoli disegna una prospettiva postmoderna di ritorno a un primitivo 2.0. Non a caso è un fautore del paganesimo. «Secondo Hegel il tempo è una freccia che procede in avanti» commenta il sociologo e filosofo francese, «secondo Nietzsche è un eterno ritorno, ma nel postmoderno il modello è quello della spirale: cose che tornano, in una generale prospettiva di cambiamento sostanziale». Il Giornale ha incontrato Maffesoli al Festival Vicino/Lontano di Udine, la cui edizione 2013 è dedicata alla ricerca di nuovi paradigmi. Qui Maffesoli ha presentato una lezione dedicata all’Homo Eroticus, che è anche il titolo del suo ultimo libro, in uscita fra qualche settimana per Liguori. Assistiamo ad un ritorno dell’Eros, dunque?
«Stiamo assistendo a una saturazione dell'idea di rappresentanza politica e democratica. La gente, lo possiamo vedere benissimo sia in Francia sia in Italia mostra disaffezione per la politica. Una volta il collante sociale era l'ethos (che non a caso, in greco vuol dire «cemento»), adesso è l'estetica.
In che senso?
«In senso antico: in greco aisthesis vuol dire sentire. Al centro dell’interesse pubblico c'è la condivisione di passioni, di emozioni collettive: pensiamo a fenomeni come le grandi gare sportive, ai concerti rock, ai rave parties, o all'elezione del Papa».
Questo cosa comporta a livello sociale?
«Alla struttura sociale tradizionale, patriarcale si sostituisce un tipo di struttura fraterna, fondata invece sulla condivisione, in cui non c'è un leader vero e proprio».
E questo è il fondamento del tribalismo postmoderno di cui parla: piccole società che si aggregano come tribù. Ma la politica tradizionale non sembra recepire quest'idea. Per esempio l’Unione Europea è un’organizzazione verticistica...
«L’Europa di oggi è il tentativo di esportazione dell'idea di Stato nazione, un’idea figlia delle ideologie moderne. O almeno questa è l’Europa ufficiale, quella della burocrazia e della tecnocrazia. Ma a me interessa un’altra Europa».
Quale?
«L’Europa ufficiosa”. Per esempio quella fatta da giovani che interagiscono in piccoli gruppi, attraverso la rete, e che saranno la classe dirigente di domani. L’istituto in cui insegno di recente si è occupato del coach surfing, cioè lo scambio di ospitalità tra giovani di tutt’Europa. Ecco, quello è già un piccolo segnale di piccole reti che si creano e condividono contenuti. Ma ci vorrà del tempo perché la politica recepisca questo fenomeno, in Francia diciamo: «La politica è sempre in ritardo di una guerra».
A proposito di Francia, come giudica Hollande?
«È un presidente del XIX secolo, porta avanti un’idea anacronistica di politica».
Basta col modello nazionale, insomma. Quale sarà il modello del futuro, allora?
«Quello imperiale: grandi imperi con all’interno realtà locali forti e autonome».
D’accordo, la rete, la condivisione. Ma spesso i piccoli gruppi su internet si fanno la guerra, o fanno la guerra a personaggi noti attraverso il trolling. In Italia ci sono state parecchie polemiche ...
«Su questi argomenti la nostra è ancora una società in fase di apprendimento. In rete c'è tutto: la generosità, la beneficienza, e anche queste forme di ostracismo. In qualsiasi forma di cambiamento c'è anche un rinselvatichimento, ci sono momenti di crudeltà».
Lei è per un controllo della rete, per una censura?
«Decisamente no. Sono per una autoregolamentazione: ogni fase di apprendimento è caratterizzata dal fenomeno di autoregolamentazione».
E funziona?
«Secondo un recente studio è apparso che nelle enciclopedie cartacee ci sono in media il 30% di notizie errate. Lo sa qual è la percentuale in Wikipedia, che si autoregola secondo la peer review? La stessa: il 30%».
Ma la rete è meno neutra di quello che appare. Per esempio gli algoritimi dei motori di ricerca sono decisi a tavolino da chi li produce, non sono oggetto di negoziazione, e lo stesso vale per i software…
«Non credo che questi aspetti siano rilevanti. Penso che siamo tutti troppo spaventati dall'intelligenza collettiva che si sviluppa in rete. E comunque, anche se fosse come dice, resta il fatto che “così è”. Questo è l'ambiente che ci è dato e dobbiamo adattarci».
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10/05/2013 10:14
 
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Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Mentana lascia twitter, avendovi ricevuto insulti. Commento su Facebook del mio amico giornalista Massimiliano Gallo. Le faccette sono mie

Premesso che l’addio di Mentana a Twitter andrebbe fatto commentare a un romano doc ("e sti cazzi" [SM=g2725401] ), constato due cose che poi sono la stessa: l’ostinato solipsismo dei quotidiani e di tanti cosiddetti protagonisti del web. I primi montano un caso su un fenomeno abbastanza scontato (il vip che scopre la suburra e torna nell’attico [SM=g2725401] ) per provare a dimostrare che quella è una giungla pericolosa; i secondi si agitano non appena qualcuno osi criticare il fantastico mondo della Rete, ricordandomi un po’ i vegetariani militanti [SM=g2725401]. (E io sono stato vegetariano, pur se non Testimone dell’orto). [SM=g2725274]
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Re:
(pollastro), 10/05/2013 10:14:

Dal professore Prisco, che mi prega di postare

Mentana lascia twitter, avendovi ricevuto insulti. Commento su Facebook del mio amico giornalista Massimiliano Gallo. Le faccette sono mie

Premesso che l’addio di Mentana a Twitter andrebbe fatto commentare a un romano doc ("e sti cazzi" [SM=g2725401] ), constato due cose che poi sono la stessa: l’ostinato solipsismo dei quotidiani e di tanti cosiddetti protagonisti del web. I primi montano un caso su un fenomeno abbastanza scontato (il vip che scopre la suburra e torna nell’attico [SM=g2725401] ) per provare a dimostrare che quella è una giungla pericolosa; i secondi si agitano non appena qualcuno osi criticare il fantastico mondo della Rete, ricordandomi un po’ i vegetariani militanti [SM=g2725401]. (E io sono stato vegetariano, pur se non Testimone dell’orto). [SM=g2725274]




Dopo che Mentana si è di fatto separato dalla moglie attraverso la rete, mi pare un passaggio obbligato. E forse tardivo.






Nolite conformari huic saeculo sed reformamini in novitate sensus vestri.
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10/05/2013 11:01
 
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Topic saltato, ci sono spiegazioni? Altrimenti vi denuncio per censura! hihihihi :P

Professore, è una bella lettura quella da lei postata, grazie!



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