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Modelli costituzionali e tradizione culturale nazionale

Ultimo Aggiornamento: 11/04/2012 22:37
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04/04/2012 21:34
 
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Dal professore Prisco, che mi prega di postare, l'anticipazione di un articolo per www.theMonitor.it . Una serena Pasqua a tutti

L’Italia, con buona pace di chi ne loda la Carta fondamentale (tra loro, sia chiaro, ci sono anch’io; ma ad una certa età le persone e le cose si amano essendo consapevoli dei loro difetti e nonostante essi, non con acritica sventatezza giovanile) non ha quasi mai avuto il primato della fantasia, in campo costituzionale.
Se ne ripercorriamo infatti la storia istituzionale con occhio critico, scopriamo di avere imitato in taluni casi modelli francesi, pur tra loro diversi - quelli giacobini a fine Settecento, quelli francesi moderati nella lunga età dello Statuto albertino - oppure di avere vagheggiato un modello britannico intrapiantabile come tale, con un occhio - già nel dibattito dell’età liberale - ad esperienze di giustizia costituzionale nate in realtà negli Stati Uniti o in Austria e riproposte a maggior ragione quando fu confezionata (da una Costituente erede di quella della Repubblica romana di Mazzini, a sua volta calco di precedenti Assemblee Costituenti straniere) la Costituzione rigida e garantita del 1948.
La meravigliosa apertura di quest’ultima ai diritti sociali e all’eguaglianza sostanziale deve essa stessa molto alla Costituzione di Weimar, pur difettosa o addirittura sbagliata per altri e da noi non riprodotti aspetti.
Nei tempi più vicini il tasso di provincialismo costituzionale è infine aumentato con pericolosa leggerezza, sintomo di ubriacatura ed errori gravi di analisi: vedi i partiti personali, la legge elettorale maggioritaria, le primarie, i governi-ombra, la democrazia di investitura, il bipolarismo competitivo: quello che in altri Paesi è stato il frutto di un processo di costruzione delle culture politiche e degli Stati di lunga durata e di faticosi assestamenti, si è qui preteso di ottenerlo in tempi brevissimi attraverso le favoleggiate virtù salvifiche dell’ingegneria costituzionale ed elettorale, con gli effetti perversi che si sono finora visti.
Oggi siamo innamorati del modello tedesco (e spagnolo), a proposito dell’ennesimo tentativo di accordo sulla riforma delle istituzioni.
Sempre a rimorchio restiamo, insomma, ma almeno si tratta di Paesi, come il nostro, a governo parlamentare e a base territoriale autonomistica, con pluralità di partiti e leggi elettorali se non altro in parte proporzionali. Non è proprio la nostra fotografia, ma almeno è quella di una famiglia alla quale apparteniamo.
Se, tuttavia, ci si riferisce al modello tedesco (per la Costituzione e anche per la riforma delle relazioni industriali), sarà bene guardarlo tutto.
In quel Paese i sindacati - molto istituzionalizzati, mentre da noi l’impianto dell’articolo 39 è rimasto lettera morta - partecipano (si chiama Mittbestimmung) alla gestione delle imprese e sono nei consigli di amministrazione delle aziende, il che li responsabilizza; da noi l’art. 46 è il meno commentato e ricordato dell’intero testo.
Altrove i partiti godono di benefici statali, ma sono anche sottoposti a severi controlli pubblici, sia per le candidature agli organi pubblici che propongono ai vari livelli, sia quanto ai finanziamenti.
Da noi la riserva di legge implicita nell’articolo 49 circa il “metodo democratico” (anche nella loro vita interna, non solo nei rapporti reciproci esterni) è bellamente ignorata.
C’è davvero ancora qualcuno che crede che si possa intervenire sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori continuando a dimenticare questi aspetti? C’è ancora qualcuno che ritiene che basti una modesta riduzione del numero dei parlamentari, una finalmente raggiunta differenziazione delle funzioni delle Camere e l’introduzione della sfiducia costruttiva per recuperare credibilità ad una politica rifiutata ( a scorrere i sondaggi) dalla metà degli elettori?
Se proprio dobbiamo imitare qualcosa o qualcuno, insomma, guardiamo a tutto il modello di riferimento, non soltanto ad una sua parte.
E scopriremo allora che forse non c’è poi tanto da copiare: basta attuare e sviluppare quello che sulla carta c’è già.
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11/04/2012 22:37
 
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Caro Professore,
solo ora mi sono accorto del Suo articolo e ricambiambiando, seppure tardivamente (ma la Pasqua ha senso per ogni nostro giorno... quindi l'augurio vale sempre!), gli auguri per la Santa Pasqua, estendendoli anche a Pollastro..., vorrei raccontarle un po' il mio rapporto con la Costituzione.
Quando ero più "giovincello" e la studiai per l'esame di diritto costituzionale ne ero decisamente innamorato...
Poi col tempo quell'innamoramento si è come appannato. Da ragazzi tutto è bello. Lo studio si alimenta della passione suscitata dalle scoperte. Per certi versi l'esame di diritto costituzionale mi apparve come il tassello di completamento del puzzle della mia formazione, culmine di un processo che aveva avuto altri momenti esaltanti nella (di pochissimo) precedente preparazione dell'esame di maturità. Da un punto di vista storico la Costituzione rinsaldava in me la fiducia nelle "magnifiche sorti e progressive". Poi col tempo sono decisamente cambiato. E ho compreso (forse, ingenuamente, tardi) che il mio "pessimismo" andava (a ragione) facendosi più radicale del Leopardi citato (e spero le sia gradito il riferimento a una bellissima lirica scritta in zone, se non sbaglio, a Lei molto vicine). E se le illusioni per le piccole aspirazioni e ambizioni che innervano, naturalmente, la vita di ogni giovane si immiseriscono nel gioco quotidiano della vita, avvelenato dai continui "cedimenti" rispetto alle legittime posizioni di vantaggio che la Costituzione ci promette, allora anche la Costituzione apparirà un inganno e ci costringerà a un "sacrificio" che da un punto di vista squisitamente laico è da respingere perchè significherebbe l'inutilità della Costituzione. Nella Ginestra Leopardi introduce la lirica con un passo di San Giovanni: "Gli uomini preferirono le tenebre piuttosto che la Luce"... Ritengo (e non solo laicamente) che questa frase compendi la caratteristica dell'essere umano. Anche a questo serve la Costituzione, anche a questo (per chi non crede) dovrebbe porre rimedio la Costituzione: ora, subito! Ma così non è. E posso condividere certe sue preoccupazioni sulla questione dell'articolo 18.
Tuttavia, al di là di queste mie considerazioni sulla Costituzione tradita (secondo me) nelle sue promesse, La devo ringraziare per i suoi riferimenti ai rapporti tra Costituzione e cultura. Se è vero che le costituzioni nascono dai popoli e rispecchiano per certi versi il profilo culturale di un popolo, è anche vero che le costituzioni risentono anche della "visione del mondo" di una data epoca (la cosiddetta Weltanschauung). E quell'epoca, madre di diverse costituzioni come la nostra, negò, per certi versi, il valore della maestà della legge per rafforzare il valore dei diritti innati dell'uomo appena calpestati da violente dittature. Oggi mi convinco sempre di più che non può esistere una forma di giusnaturalismo che possa confidare sul valore dato, una volta per tutte, di certi principi. Questi sono figli della "visione del mondo" e, come tali, destinati a mutare. Potrebbero pure mutare radicalmente. Allora, quale la sorte delle costituzioni nate con spirito di religioso affidamento laico in principi presunti eterni ma che eterni non sono e non possono essere (nella testa degli uomini non ci può essere nulla di eterno nella concezione del mondo etsi Deus non daretur)? Come potranno riformarsi, dopo aver negato in radice il valore essenziale della maestà della legge? Sinceramente non so darmi una risposta. Ma a riflettere il problema è alquanto angosciante, perchè presuppone, in prospettiva, la inevitabile rottura dell'ordine costituzionale (fosse pure fra secoli...). E più preoccupanti ho ritenuto certe soluzioni profilatesi qualche anno fa all'indomani del referendum che bocciò la riforma di Berlusconi del 2006, a sinistra: riformulare l'art. 138 in modo da richiedere per ogni riforma la maggioranza dei due terzi. Credo che questa soluzione potrebbe addirittura anticipare la rottura costituzionale (rispetto ai tempi richiesti dalla mutazione di sensibiltà) determinando una irreformabilità di fatto della Costituzione anche per questioni non attinenti ai principi.

Queste considerazioni piuttosto pessimistiche riguardano la Costituzione in relazione agli Italiani che sono cambiati negli ultimi decenni.

Vorrei concludere (scusandomi per il tempo predato) con cosiderazioni critiche su come si giunse all'assetto degli organi costituzionali.

Ritengo (ma sono pronto a ricredermi, essendo le mie conoscenze basate su considerazioni storiche e avendo letto una volta per pura curiosità lo Statuo Albertino...) che la Repubblica abbia recuperato gran parte del sistema politico antecedente al fascismo. In questo ho sempre visto una forma di pigrizia dei costituenti che non hanno voluto troppo incidere sul sitema politico cui erano abituati gli italiani: parlamentarismo, debolezza dei governi, possibilità insita nel sistema di riedizioni del cosiddetto trasformismo, la configuazione di un Presidente della Repubblica per certi aspetti poco repubblicano che può apparire piuttosto un "re" che un moderno presidente repubblicano. Poi il non aver avuto il coraggio (già nel 1948 e non aspettare il 1990) di creare una moderna democrazia nella pubblica amministrazione (cosa che, a mio avviso, ha ritardato la modernizzazione del paese, e la sua pratica di una democrazia davvero sostanziale). E non nascondo le mie profonde perplessità su quelle parti profondamente intrise di corporativismo e statalismo, come tradisce il "non ininfluente" art. 41 terzo comma per rendere libera davvero l'economia (basta, a mio avviso, il secondo comma per rendere non dannosa la libertà economica...). E poi perchè non affiancare all'obbligo di contribuzione ex art. 53 e 23 radicati sull'art. 3 un più sicuro e democratico obbligo da parte dello Stato di rendere conto di come sono impiegate le spese, anche in termini di recupero di una sia pur minima forma di commutatività (per certi una vera bestemmia!)?

Infine la questione giustizia. In questo ambito credo che i costituenti (aspetto smentite per liberarmi della mia profonda ignoranza...) si siano comportati piuttosto pilatescamente.
Insomma siamo passati dalla magistratura intesa tradizionalmente in Italia come ordine (e non come potere) come delegata dell'esercizio della giurisdizione da parte del Re (con forte controllo da parte dell'esecutivo), espressione delle stesse classi dirigenti borghesi che esercitavano gli altri poteri, ad un sistema di vera emanazione dal fascismo (i giudici dovevano essere iscritti al partito nazionale fascista!!!). Su questo cosa ha fatto la Costituzione? Ha previsto un sistema di poteri in compartimenti stagni. Consci dell'essere la magistratura essenzialmente all'epoca fascista, i costituenti hanno tutelato da possibili intrusioni verso i politici col vecchio art. 68. Quando poi la magistratura si è "svecchiata" e costituzionalizzata non è stato più facile alla politica controllarla, e, cambiato l'art. 68, il compartimento stagno si è rotto definitivamente. Non so come e "se" sarà possibile rimediare a questi profondi guasti del nostro sistema dei rapporti politica/magistratura.
Ma ancora più grave, ritengo, è l'aver lasciato alla magistratura eccessiva discrezionalità interpretativa delle leggi fatte dai legislatori. Si parla sempre più spesso di eccessiva creatività dei giudici dietro il paravento della Costituzione. Fino a che punto può giungere questo esercizio troppo libero? Bellissime e significative pagine (reperibili anche in internet) ha scritto il prof. Francesco Gazzoni. Credo che in quest'ambito, in questo modo di esercizio della giurisdizione ci sia una patente lesione della Costituzione.
In questo la nostra Costituizione è troppo prudente, affermando all'art. 102 sec. comma che "i giudici sono soggetti soltanto alla legge". Meglio sarebbe se ci fosse qualcosa di simile all'art. 73 dello Statuto Albertino che prescriveva:
"L'interpretazione delle leggi, in modo per tutti obbligatorio, spetta esclusivamente al potere legislativo".
Spero di non aver annoiato troppo.
Grazie
Max






Nolite conformari huic saeculo sed reformamini in novitate sensus vestri.
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